Archivi categoria: Latinoamericana

Gocce nere

Gocce nereIl sogno di Hemigidio Huerta (al secolo Nestor Cerpa Cartolini), quando il 17 dicembre 1996 occupò con il suo commando del MRTA l’ambasciata giapponese di Lima, era quello di liberare 442 compagni/e  dalle carceri tomba di Fujimori, fra cui sua moglie Nancy Gilvonio. Si sa come finì:  il 22 aprile 1997 tutti i guerriglieri e un ostaggio furono uccisi a sangue freddo in un blitz delle forze speciali peruviane.
Gocce nere è la continuazione immaginaria di quel sogno con un finale diverso, un finale dove “le sbarre cedono alla pressione delle dita”. Continua la lettura di Gocce nere

Il vero debito estero

GuaicaipuroLettera di un capo indio ai governi europei riuniti durante il convegno a Seattle.
di Guaicaipuro Cuautemoc (*)

tratto da il blog di Daniele Barbieri e altr@.

Così sono qua, io, Guaicaipuro Cuautemoc. Sono venuto a incontrare i partecipanti a questo incontro.
Così sono qua, io, discendente di coloro che popolarono l’America quarantamila anni fa, sono venuto a trovare coloro che la trovarono cinquecento anni fa.
Così ci troviamo tutti: sappiamo chi siamo, ed è già abbastanza.
Non abbiamo bisogno di altro.
Il fratello doganiere europeo mi chiede carta scritta con visto per scoprire coloro che mi scoprirono.
Il fratello usuraio europeo mi chiede di pagare un debito contratto da traditori che non ho mai autorizzato a vendermi. Continua la lettura di Il vero debito estero

Donde esta Oesterheld ?

Oesterheld_3Né croce, né segno sulla sua tomba.

Goffo rito quello della morte che è già vinta.

Il sangue del Che è già goccia nel fiume di sangue

sparso contro la fame e le catene.

Dal suo nome amore e azione.

Fa alzare le gioventù del mondo e le avvia al cammino”.

Con queste parole Héctor Germán Oesterheld, il più grande sceneggiatore di fumetti argentino, chiude l’opera dedicata al Che, magistralmente disegnata da Alberto Breccia. Continua la lettura di Donde esta Oesterheld ?

Mar del Plata

mar del plataClaudio Fava inventa personaggi, immagina dialoghi, cambia  nomi e circostanze. Ma la storia raccontata nel suo romanzo è vera. Ed è questa.

Hernán Rocca fu il primo a cadere. Era studente di medicina, militante della Gioventù Peronista Universitaria, e “medio scrum” del La Plata Rugby Club, una delle squadre più promettenti del campionato argentino. I paramilitari lo presero la notte del venerdì santo del 1975. Anche se la dittatura non era ancora ufficiale, sotto il governo fantoccio di Isabelita Peron la Triple A (Alleanza Anticomunista Argentina) agiva indisturbata. Continua la lettura di Mar del Plata

United business of Benetton

United BusinessPersonalmente vedo complicato che le imprese comincino a preoccuparsi se le Leggi Nazionali di un Paese permettano una vita dignitosa ai lavoratori che lo abitano”.  Carlo Landi, direttore della pubblicità del Gruppo Benetton (1999).

“Carmelita è morta l’8 marzo 1997, Giornata Internazionale della Donna, all’Andres Bonifacio Memorial Hospital di Cavite, nelle Filippine, dopo 11 giorni di agonia. Secondo le dichiarazioni rilasciate dalle sue compagne di lavoro della V.T. Fashion, “Carmelita è stata uccisa dalle 14 ore di lavoro che doveva svolgere ogni giorno e dalle 8 ore di straordinario che le venivano imposte ogni domenica.” (“Philippine News Features”, March 19, 1997). Continua la lettura di United business of Benetton

Faccia al muro

Faccia al muroBisogna ringraziare i prigionieri  del carcere di Papuda (Brasilia) per aver saputo trasformare in un libro leggibile  questa fetecchia di spy story. Bisogna ringraziare le loro frasi ad effetto, le loro risate e sfottò, i deliri mistici e le filosofie con cui cercano di riempire di senso il tempo sospeso della galera.  Ringraziare J.J., che ha dato fuoco al materasso perché “aveva bisogno di luce”, e Meningite, perso fra bislacche curiosità ed elucubrazioni bibliche, e Crudele, che inventa trame per libri immaginari. Bisogna ringraziare Zeca, con le sue canzoni di malavita e suoi principi da vecchio sicario del Pantanal.  Ripercorrere con lui le strade di Rio, farsi guidare per le favelas  di cui conosce ogni centimetro senza esserci mai stato, se non con la fantasia gettata al di là delle sbarre. Ringraziare Bruno, l’ingegnere che crede ai sortilegi,  e Alleluia, morto per un fiammifero strofinato male, e Nem, arrestato per un pediluvio in una fontana della zona bene, con uno zaino pieno di anabolizzanti per cavalli e un cartello: “Il popolo sovrano reclama più repressione e meno scuole. Più poliziotti e meno medici. Più serie televisive e meno libri. Più cheesburger e meno churraco”. Bisogna  ringraziare Nenouche, Godinho, Ely, Pata louca e quel fanatico del Bispo Binadab, lo “scolaro della morte”. Immaginarseli nudi e a testa bassa, accovacciati l’uno contro l’altro sul terreno lurido mentre le guardie distruggono le celle per addestrare le reclute, alla ricerca di pericolosi oggetti proibiti: carta, penne, libri, medicine. Immaginarseli piegati dalla diarrea per il rancio andato a male (le carceri di Lula e Rousseff non ci fanno una bella figura), o mentre inseguono con gli occhi la linea dell’ombra che verso sera scavalca il muro del cortile ed esce fuori, per strada. Ringraziare infine anche il detenuto scrittore che ha saputo raccontarli, con la loro “passione oscura” ed i pensieri che in carcere diventano concreti come esseri viventi.

Tutto il resto del romanzo, a sfondo autobiografico, è a metà fra un polpettone erotico/sentimentale (melenso come una telenovela brasiliana) e un intreccio spionistico dai risvolti politici nebulosi, popolato da perfide mata hari e da reduci di lotte passate devastati e arresi, quando non corrotti o venduti al nemico. Forse, suggerendo l’idea una latitanza sessualmente intensa, Battisti ha cercato di far schiattare di rabbia i suoi numerosi detrattori. Il problema è che riesce a far schiattare di noia tutti gli altri. A tratti poi è come se il protagonista volesse dichiarare al mondo, e in particolare al paese d’esilio “lasciatemi perdere,  sono innocuo, le idee in cui credevo mi hanno lasciato solo disillusioni, sono roba del passato, anacronistica”. Il che fa il paio con le sue vicissitudini amorose nella costruzione di un personaggio patetico. Auguro all’autore di non assomigliargli, e che il richiamo  autobiografico del romanzo sia solo una finzione letteraria. Gli riservo, inoltre un consiglio per il futuro: la prossima volta non inventarti storie  artificiose. Basta che ti guardi intorno e descrivi la realtà del Brasile,  che è già sur/reale di suo. Hai mezzo continente a disposizione, vedrai che gli argomenti non ti mancheranno.

Il libro: Cesare Battisti, Faccia al muro, DeriveApprodi, 2012, p. 285.

Amuleto

Già dopo la prima mezz’ora alle prese con Auxilio Lacouture cominci a sbuffare… uffa quanto è prolissa questa frikkettona allampanata , simpatica, si, ma scoppiata come uno Zeppelin, e poi chissenefrega delle sue nottate deliranti, delle sue sbronze e soprattutto che palle con tutti questi giovani poeti messicani e vecchi giornalisti falliti …. ma mentre sei lì che smoccoli dopo una lunga sfilza di dettagli privi di interesse, scivoli senza avvedertene nell’ultima visione allucinata di questo folle personaggio, un immenso atto di amore verso una generazione, che ti fa dire “si, fosse anche per queste poche pagine, ne valeva la pena”.

Il libro: Roberto Bolano, Ilde Carmignani (traduttrice), Amuleto, Adelphi, 2010, 141 p.

Le avventure di Miguel Littin, clandestino in Cile

Quella volta a Miguelito gli andò proprio di culo !
Rientrare da clandestino nel Cile di Pinochet, e andare sfrontatamente a spasso a girare quello che poi diventerà “Acta General de Chile” (un lungo documentario di denuncia) non è stata impresa da poco.
Un trasformismo degno di Brachetti ! Con i mezzi di oggi però (biometria, DNA ecc.) lo beccherebbero subito.

Il libro: Gabriel Garcia Marquez, Le avventure di Miguel Littin, clandestino in Cile,  Mondadori, 1986, 136 p.

Patagonia rebelde. Una storia di gauchos, bandoleros, anarchici, latifondisti e militari nell’Argentina degli anni Venti

27 gennaio 1923: l’anarchico Kurt Gustav Wilckens “tira giù” il tenente colonnello Varela, vendicando i caduti di quello che fu il più grande eccidio della storia argentina dei primi 70 anni del ‘900. Due anni prima, lo sciopero generale per migliori salari e condizioni di lavoro aveva paralizzato la provincia patagone di Santa Cruz . Operai del “Frigorifico”, tosatori, cuochi, braccianti, commessi, “chilotes”, criolli, anarchici europei: lo sciopero indetto dalla Sociedad Obrera de Rio Gallegos oltrepassa le divisioni di mestiere e di provenienza. E’ generale nel senso più pieno del termine: i lavoratori agricoli occupano le estancias dei latifondisti, i padroni più incattiviti vedono i loro negozi boicottati. Nessuno lavora più per loro, non solo i loro dipendenti diretti. Nei ristoranti, camerieri e cuochi si rifiutano di servirli.
Sotto le pressioni dei padroni locali (Sociedad Rural) e stranieri (inglesi) il primo presidente argentino democraticamente eletto – il radicale Hipolito Yrigoyen – invia le truppe e si volta dall’altra parte per non vedere la mattanza. Finiranno davanti al plotone di esecuzione 1.500 scioperanti, sepolti in anonime fosse comuni.
Osvaldo Bayer ripercorre il cammino verso la fine di questi uomini in un libro che, più che un romanzo, è una ricerca storica. Lo stesso Bayer contribuì alla ricerca delle fosse comuni, dove oltre agli scioperanti giaceva anche la memoria di quegli eventi.
Memorabili le figure di Wilckens, Antonio Soto, Facòn Grande, Boris Wladimirovic, e delle ragazze del postribolo “La Catalana”.

Il libro: Osvaldo Bayer, Alberto Prunetti (traduttore), Patagonia rebelde. Una storia di gauchos, bandoleros, anarchici, latifondisti e militari nell’Argentina degli anni Venti, Elèuthera, 2009, 159 p.

Inés dell’anima mia

La Allende ha un problema: deve far quadrare i conti di un’identità latinoamericana che sia applicabile all’eterogea progenie dei conquistatori e dei conquistati, degli schiavisti e degli schiavi, dei carnefici e delle vittime.   Per questo sceglie spesso di curarsi di personaggi femminili lontani dai due estremi: conquistatrici dal cuore pietoso, fedeli servitrici indie, principesse inca sposate agli spagnoli.   La protagonista racconta in presa diretta (in forma di autobiografia) il suo vissuto, dove gli orrori dell’invasione spagnola vengono citati come sfondo/contesto spiacevole, ma non come tragica esperienza emotiva.   La più grande tragedia di Ines (l’abbandono da parte di Pedro de Valdivia) fa piuttosto ridere a confronto dei massacri e degli stupri riservati alle donne delle popolazioni conquistate.   Insomma non è una storia dalla parte degli ultimi.   Dopo di chè è scritto bene, è una specie di telenovela su carta che scorre anche piacevolmente.   Grande la figura di Lautaro.

Il libro: Isabel Allende, Elena Liverani (traduttrice), Inés dell’anima mia, Feltrinelli, 2008, 326 p.