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Amianto. Una storia operaia

Con tenerezza e con rabbia. E’ così che si legge “Amianto. Una storia operaia” di Alberto Prunetti, con qualche sbuffo di risa (sufficiente per passarci da scema mentre lo leggi sul treno) e una gran voglia di spaccare tutto. A tratti con un leggero imbarazzo, per il fatto di sentirti un po’ un’intrusa in mezzo a tanti ricordi così intimi. Ti sembra di avercelo lì, Renato Prunetti, mentre si infervora prima di un calcio di rigore o bestemmia contro i preti in livornese. Nei ricordi di suo figlio  scorrono le loro vite – una passata in fabbrica, l’altra nella precarietà del lavoro cognitivo – così diverse, così legate fra loro da una complicità maschile che ha la  concretezza delle cose costruite assieme. Scorrono i 31 anni che hanno condiviso negli intervalli fra una trasferta e l’altra, perché Renato è operaio trasfertista, esperto nell’installazione e manutenzione di grandi impianti, uno che “smonta le fabbriche e le rimonta in un giorno” agli occhi di suo figlio bambino.

Renato percorre l’Italia su treni notturni, seguendo itinerari non segnalati dalle guide turistiche: periferie urbane, acciaierie, petrolchimici. Là dentro ha vissuto molto più che a casa, spesso lontano da quella maremma popolare, veloce di lingua e di schiaffone, piena di mangiapreti e personaggi mitici. Ricostruire la sua vita significa ripercorrere la mappa delle nocività industriali nel nostro paese: Rosignano SolvayScarlino, PiombinoTarantoTerni, Castellanza, PrioloCasale MonferratoBusallal’Amiata. Dovunque vada l’amianto è una costante, assieme al ferro, al cromo, al nickel e al manganese del fumo delle saldature. Il resto può variare seguendo le infinite combinazioni fra gli elementi della tavola periodica di Mendeleev.

Renato fa un mestiere che non è alla portata di tutti, sa compiere operazioni complesse e pericolose. E’ capace, e cosciente di esserlo. Il suo lavoro definisce gran parte della sua identità e del suo ruolo nel mondo. E’ “aristocrazia operaia”, poco sostituibile, più garantito e pagato degli operai della catena. Nonostante questo subisce anche lui l’arrivo degli anni ’80: la crisi dell’industria pesante (il crollo, a livello di immaginario, del mito di sviluppo che rappresenta) e il ribaltamento dei rapporti di forza fra operai e capitale sancito dalla marcia dei quarantamila. Vede le condizioni di lavoro in fabbrica precipitare sempre di più assieme alla sicurezza, vede aumentare il pericolo e l’arroganza dei capi. Cerca di opporsi, di smuovere il sindacato, inutilmente.

Aristocrazia operaia, dicevo, ma è un “blasone” che ha un prezzo. Per Renato la moneta di scambio, oltre al suo lavoro, la sua capacità e il suo tempo, è il suo corpo.

Ci sono momenti che vorresti presentarti da quelli che hanno deciso di trasformare il lavoro in un ergastolo, rinchiudendo la gente in fabbrica e cantiere oltre i 66 anni. Ci sono momenti che vorresti strascinarli nei fanghi al mercurio di Rosignano, o nei parchi minerari dell’ILVA,  costringendoli a urlartela di nuovo la supercazzola dell’aumento della vita media, che nella realtà si allunga solo per quelli che in fabbrica e cantiere non ci mettono piede. Questo è uno di quei momenti, perché Renato Prunetti muore a 59 anni. Alla sua morte seguono gli oltraggi dell’Inail dell’Inps – a cui bisogna fare causa perché riconoscano l’evidenza dell’esposizione all’amianto – e l’impunità di chi l’ha ucciso: Gargano, Solmine, Solvay, ENI, Italsider, Maura, Iplom … L’hanno ucciso tutti e quindi nessuno: ai padroni non si applicano i reati associativi. A suo figlio va il mio ringraziamento, perché raccontare la realtà significa sottrarre al capitale il monopolio della narrazione del mondo, e anche per avermi fatto conoscere, con affetto e ironia, questo suo padre riottoso, amante del cibo e del vino, orgoglioso fino all’ultimo, refrattario alle tonache e alla pietà.

Il libro: Alberto Prunetti, Amianto. Una storia operaia, Agenzia X, 2012, 141 p. Leggil’introduzione di Valerio Evangelisti e un estratto del libro.

Desideri/segnalazioni

Oggi segnalo quattro biografie:

Osvaldo Bayer, Alberto Prunetti (curatore), Severino Di Giovanni. C’era una volta in America del sud, Agenzia X, 2012, 256 p.  Recensione su Carmillaonline.

 

 

 

 

Franz Mehering, Vita di Marx. Una biografia rivoluzionaria, Shake, 2012, 416 p. Recensione su Carmillaonline.

 

 

 

 

 

 

AAVV, Lelio Basso, Punto Rosso Edizioni, giugno 2012, 436 p.

 

 

 

Mary Harris Jones, Autobiografia di Mamma Jones, Fiorenzo Albani Editore, 2009, 251 p.

Recensione su Carmillaonline.

 

Potassa. Storie di sovversivi, migranti, erranti sottratti alla polvere degli archivi

Chissà cosa penserebbero il Biancani e il Marchettini se sapessero che la memoria delle loro vite è riemersa grazie alla meticolosità degli archivi polizieschi. Qualcosa del tipo: “Maremma maiala… finisce che ci s’ha da ringrazià pure le guardie !!”
Grazie al Prunetti riemergono dal freddo burocratese storie di carne e sangue, di gente che non viene ricordata nei testi scolastici, anche perché forse un po’ troppo riottosa e poco politically correct.
Storie di uomini di altri tempi, capaci di giocarsi tutto per rimanere fedeli a se stessi.
Storie che rievocano le origini del fascismo, nella loro quotidianità di provocazioni e violenze.
Storie in parte reali e in parte immaginate (ma nel rispetto delle fonti, esplicitando la distinzione fra ricostruzione storica e finzione).

Unica critica possibile è il corpo 8 dei caratteri di stampa, estremamente faticosi per una vekkia cecata come me.

Il libro: Alberto Prunetti, Potassa. Storie di sovversivi, migranti, erranti sottratti alla polvere degli archivi, Stampalternativa/Nuovi Equilibri, 2004, 102 p.  Si scarica da Stampalternativa.

Patagonia rebelde. Una storia di gauchos, bandoleros, anarchici, latifondisti e militari nell’Argentina degli anni Venti

27 gennaio 1923: l’anarchico Kurt Gustav Wilckens “tira giù” il tenente colonnello Varela, vendicando i caduti di quello che fu il più grande eccidio della storia argentina dei primi 70 anni del ‘900. Due anni prima, lo sciopero generale per migliori salari e condizioni di lavoro aveva paralizzato la provincia patagone di Santa Cruz . Operai del “Frigorifico”, tosatori, cuochi, braccianti, commessi, “chilotes”, criolli, anarchici europei: lo sciopero indetto dalla Sociedad Obrera de Rio Gallegos oltrepassa le divisioni di mestiere e di provenienza. E’ generale nel senso più pieno del termine: i lavoratori agricoli occupano le estancias dei latifondisti, i padroni più incattiviti vedono i loro negozi boicottati. Nessuno lavora più per loro, non solo i loro dipendenti diretti. Nei ristoranti, camerieri e cuochi si rifiutano di servirli.
Sotto le pressioni dei padroni locali (Sociedad Rural) e stranieri (inglesi) il primo presidente argentino democraticamente eletto – il radicale Hipolito Yrigoyen – invia le truppe e si volta dall’altra parte per non vedere la mattanza. Finiranno davanti al plotone di esecuzione 1.500 scioperanti, sepolti in anonime fosse comuni.
Osvaldo Bayer ripercorre il cammino verso la fine di questi uomini in un libro che, più che un romanzo, è una ricerca storica. Lo stesso Bayer contribuì alla ricerca delle fosse comuni, dove oltre agli scioperanti giaceva anche la memoria di quegli eventi.
Memorabili le figure di Wilckens, Antonio Soto, Facòn Grande, Boris Wladimirovic, e delle ragazze del postribolo “La Catalana”.

Il libro: Osvaldo Bayer, Alberto Prunetti (traduttore), Patagonia rebelde. Una storia di gauchos, bandoleros, anarchici, latifondisti e militari nell’Argentina degli anni Venti, Elèuthera, 2009, 159 p.