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Thyssenkrupp. L’inferno della classe operaia

Un insieme di storie che si intrecciano: la storia industriale di Torino, la storia dell’acciaio, e le storie personali di Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Giuseppe Demasi, oltre a quella di Antonio Boccuzzi (l’unico sopravvissuto alla strage del 6 dicembre 2007).  E’ una bella operazione questa, di ricordarli in vita, con le loro passioni, insieme alle persone che li amano. Ridargli identità.

Le loro vite si alternano con altre meno dignitose, come quella di Alfried Krupp von Bohlen, SS della prima ora, o di Margit Thyssen, che nel ’45, per divertire gli ospiti durante una “festa”,  fece fucilare 200 prigionieri ebrei.  Storie di fortune industriali costruite sul sangue: furono dei Krupp i supemortai e il cannoni  “Dicke Bertha” che terrorizzarono le città francesi durante la Grande Guerra. Furono dei Thyssen e dei Krupp le armi di Hitler. Alfried Krupp venne condannato a Norimberga per abuso di lavoro schiavistico di internati, deportati e prigionieri di guerra. Venne graziato già nel ’51 e reintegrato nel possesso dei suoi beni.

Intorno alle storie personali  scorrono 100 anni di acciaio italiano e torinese, dalle Ferriere Fiat alla Teksid, fino all’acquisto da parte dell’IRI / Finsider e alla successiva ri-privatizzazione. E’ un esempio da manuale sul tema “socializzazione delle perdite e privatizzazione dei guadagni”. Nel 1982 la Fiat ammolla le sue acciaierie alla Finsider che ha già di suo perdite per 2100 miliardi di vecchie lire, e che le acquista nel mezzo di una forte crisi di sovrapproduzione, giusto giusto alla vigilia delle restrizioni CEE sulle quote acciaio. Passano non più di sei anni, durante i quali il deficit continua a lievitare, e già si parla di privatizzazioni. L’acciaio pubblico viene spezzettato in “good companies” da svendere ai privati (a cui lasciare il patrimonio e le quote di mercato)  e “bad companies” dove ficcare i debiti e il personale in esubero. E io che credevo che il giochino l’avessero inventato con Alitalia!!!  Comprarono Lucchini, Riva e i tedeschi.

La storia ricorda i morti degli anni ’50, lavoratori caduti nell’acido o trafitti da un tondino incandescente, e i quattro operai finiti nel ’78 sotto una colata di acciaio fuso, morti per colpa degli apprendisti stregoni che vollero sperimentare sistemi improvvisati per accrescere la produttività. Continua con gli stabilimenti sommersi dall’esondazione della Dora (dove patron Riva ci fece la solita figura del pitocco), e poi con il grande incendio del Sendzimir62, fermato dalla genialità di un impiegato.

Gli autori ci raccontano la vita di fabbrica, la profondità dei rapporti fra operai, la loro quotidianità pericolosa (“riposavamo su delle tele di amianto … lo usavamo per tutto, anche come tovagliette per mangiare”).  Ci guidano nella città stabilimento svelandoci i particolari del ciclo dell’acciaio e dell’organizzazione del lavoro, e il progressivo sfascio verso la dismissione, fino alla cronaca di una strage annunciata. E poi … gli estintori vuoti, le omissioni nei controlli, le perdite di olio a fiumi, e i sistemi automatici di estinzione mai installati perché troppo costosi, il delirante scaricabarile fra l’ASL e i Vigili del Fuoco.

Questa storia continua oltre le pagine del libro, con la condanna dell’AD Harald Espenhahan a sedici anni e sei mesi per omicidio volontario, e dei dirigenti Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno, Cosimo Cafueri, Daniele Moroni.per omicidio colposo con colpa cosciente. Continua per gli operai di “Legami d’acciaio”, quelli che si costituirono parte civile. Gli unici, “casualmente”, a non essere stati ancora ricollocati dopo la chiusura dello stabilimento. Qui c’è l’appello per esprimergli solidarietà.

PS: L’unica cosa di cui avrei fatto volentieri a meno in questo libro è la prefazione di Giancarlo Caselli, perchè uno che manda in galera chi difende il territorio dalla devastazione ambientale non ha i requisiti necessari per discutere di sicurezza e salute.

Il libro: Diego Novelli, Marco Bobbio, Valentina Dirindin, Eugenio Giudice, Claudio Laugeri, Thyssenkrupp. L’inferno della classe operaia, Sperling & Kupfer, 2008, 209 p.