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Desideri/segnalazioni

Luce Fabbri, Luigi Fabbri. Storia d’un uomo libero, BFS, Pisa 1996.

Giorgio Boratto, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Einaudi,  2001, pp. 339

 

Roberto Carocci, Roma sovversiva. Anarchismo e conflittualità sociale dall’età giolittiana al fascismo (1900-1926),  Odradek, pp. 346.

 

Eros Francescangeli, Arditi del Popolo. Argo secondari e la prima organizzazione antifascista, Odradek, 328 p

La controrivoluzione preventiva. Riflessioni sul fascismo

“Il fascismo è il prodotto più naturale e legittimo della guerra; dirò anzi ch’è la prosecuzione in ogni paese della guerra mondiale cominciata nel luglio 1914 e non ancora finita, malgrado tutti i trattati di pace. La guerra dal 1914 al 1918 si combatteva non soltanto alle frontiere, ma anche all’interno di ogni nazione. Dovunque la così detta “unione sacra” contro il nemico esterno fu una menzogna convenzionale, che ciascuno accettava pro-forma pur sapendola una finzione. La coazione statale e militare impediva lo scatenarsi delle ostilità all’interno, e così pure lo impediva il timore di danni peggiori susseguenti ad una eventuale invasione straniera …. In realtà all’interno di ogni paese v’era per ciascuno qualche cosa odiata più profondamente del nemico esterno”.

L’analisi di Luigi Fabbri sulle origini e la natura del fascismo è di una lucidità e eccezionale, tanto più sorprendente se si pensa che è stata scritta nel ’21, con gli avvenimenti a caldo. È anche vero che a quei tempi  il dibattito volava alto. Pochi anni prima la Rivoluzione  si  era posta concretamente all’ordine del giorno in Russia e in Germania , e il livello del pensiero politico era conseguente.

Per l’autore è proprio la rivoluzione mancata in Italia che ha permesso la riorganizzazione violenta della borghesia:  quelle  occasioni sprecate  – i moti contro il caroviveri del ’19, la sollevazione di Ancona e l’occupazione delle fabbriche del ’20 – dai socialisti per assenza di volontà, dagli anarchici per debolezza.

Mi piace questa impostazione che lungi dal piangersi addosso  ricerca le responsabilità anche della propria parte: non aver saputo/voluto sfruttare la massima debolezza dello Stato, uscito dal primo conflitto mondiale nel più totale discredito e con la forza armata a pezzi: l’aver allertato l’avversario di classe con proclami rivoluzionari senza poi saper essere conseguenti con le proprie parole d’ordine.

Fabbri per primo introduce un concetto che gli sopravviverà: il fascismo come controrivoluzione preventiva. Non come reazione ad un moto rivoluzionario che in Italia non si diede, ma  come modalità  di contrasto di possibili rivoluzioni future.  Il fascismo  viene visto al di là della sua connotazione di fenomeno storicamente determinato, viene svincolato dai suoi attori contingenti, e  inteso come una  “funzione” che la borghesia può riutilizzare ogni volta lo ritenga necessario.

Il fascismo risponde alle necessità di difesa delle classi dirigenti della società moderna. Come tale, non bisogna identificarlo troppo con le formazioni ufficiali, numerate, controllate e tesserate dei “Fasci di combattimento” … “ Quando la pressione delle masse operaie si farà di nuovo più minacciosa per le classi dirigenti, queste potranno  sempre tirar fuori  dal loro arsenale l’arma del fascismo”.

Fabbri  descrive la connivenza col fascismo della classe dirigente tutta, dai padroni e gli agrari che lo finanziavano, ai vertici delle forze armate, alla magistratura, ai questori e prefetti. Descrive la complicità/contiguità fra fascisti e forza pubblica, che apertamente armò i fascisti, spesso spalleggiandoli nelle azioni. Fascisti e forza pubblica affratellati dal fatto di svolgere la stessa funzione, chi illegalmente, chi legalmente (un concetto su cui potremmo ragionare ancor oggi).

Accanto alle analisi generali, nel libro si descrivono gli incendi delle Camere del Lavoro e delle cooperative, le esecuzioni di compagni, le spedizioni punitive, la persecuzione della popolazione slovena in Friuli con la distruzione di interi villaggi. Si riportano alcuni fatti della storia della mia città che mi erano del tutto sconosciuti, quali l’assalto dei fascisti al Comune di Bologna durante  l’insediamento del  sindaco socialista Enio Gnudi, il 21 novembre 1920, che finì con 11 morti e il commissariamento prefettizio del Comune.

Sono fatti che non hanno mai trovato molto spazio nella retorica dell’antifascismo, quella  confinata nelle commemorazioni ufficiali. Credo che il  PCI  abbia preferito glissare su tutto quel periodo, limitandosi alla celebrazione della Resistenza, che poneva meno problemi per le sue connotazioni patriottiche e interclassiste.

Ricordare quel periodo poteva forse risultare scomodo, riportando  alla memoria come, nel pieno delle violenze squadriste dei primi anni ’20, votarono il governo Mussolini  gente come De Gasperi, Gronchi, De Nicola, gli stessi che nel dopoguerra assursero ai ranghi più alti della giovane Repubblica.  E come giustificare dopo tanta violenza, l’amnistia e la mancata epurazione. “Nel 1960 si calcolò che 62 dei 64 prefetti in servizio erano stati funzionari fascisti. Lo stesso valeva per tutti  i 135 questori e per i loro 139 vice. Poi, dopo il ‘’68, vennero le stragi”.

Stà qui l’attualità del pensiero di Fabbri e la sua lungimiranza: il fascismo come “funzione” non si esaurì, infatti, con la fine del ventennio.

Il libro: Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva. Riflessioni sul fascismo, Zero in Condotta, 2009, 124 p. Si scarica in inglese.

Leggi l’introduzione redatta dall’Assemblea Antifascista Permanente di Bologna. Alcuni stralci dal sito antifa.