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L’insegnante di astinenza sessuale

Se a volte pensi che lo sviluppo culturale di una società segni dei punti fermi, assodati, indiscutibili … ebbene, se pensi questo, sappi che non esistono “punti di non ritorno”. Ogni conquista di civiltà può essere facilmente messa in discussione anche da una piccola minoranza aggressiva, se le è permesso di agire nel mare dell’indifferenza.
Il libro di Perrotta ci porta ad esempio l’offensiva dell’integralismo cristiano contro le minime conquiste di buon senso comune (e buone pratiche) raggiunte grazie ai movimenti di liberazione sessuale. E’ un testo scorrevole, a tratti divertente, ma non per questo superficiale nel descrivere l’estendersi dell’influenza puritana in una piccola comunità degli USA.
All’inizio il morbo si fa spazio in maniera suadente, ricercando persone derelitte a cui proporsi come via per la salvezza, facendo leva in maniera schifosa sui bisogni più profondi: il bisogno di sentirsi amati, il bisogno di colmare il proprio vuoto, di non rimanere soli a fronte di una malattia o dei problemi della vita.
Gioca con le umane debolezze, sostituendosi ad altre forme di dipendenza in un percorso di “rinascita” della persona che comporta l’annullamento della sua personalità precedente (quelli di Rimini che conoscono le comunità di Muccioli e di Don Benzi sanno di cosa parlo).
L’obiettivo è quello di creare persone vuote che possano essere riempite di Bibbia, di anelito al proselitismo e alle crociate contro il peccato, e che subito dopo la loro “rinascita” comincino a spaccare i coglioni al prossimo loro, ergendosi a censori, riducendo gli spazi di laicità, strillando più forte.
Intorno c’è chi li sottovaluta, chi non vuole scontrarsi per amor del quieto vivere, chi cambia aria. Ciò che all’inizio nasce come strippo di fanatici, nella comunità degli ignavi avanza alla conquista dell’egemonia culturale.
Chi sceglie di opporsi si ritrova solo, ma opporsi non è inutile, anche quando si perde, perché infonde coraggio agli indecisi, e dubbi a chi si è perduto in troppe certezze.

Vaticano S.p.A.

Un curioso personaggio questo Renato Dardozzi, che per 20 anni siede ai vertici della vigilanza vaticana sullo IOR, e per 20 anni archivia meticolosamente documenti scottanti, appunti, lettere, bilanci, per poi renderli pubblici solo post mortem. Giustamente…. così non lo possono più suicidare (visto i precedenti di Calvi, Sindona, Cagliari, Gardini …). Peccato che l’archivio Dardozzi giunga alla pubblica attenzione fuori tempo massimo, quando i principali protagonisti delle vicende descritte sono più o meno tutti defunti (o eventualmente prescritti).
Comunque, almeno dal punto di vista storico, aggiunge interessanti tasselli a questioni che è vero che sono già note, però fanno una certa impressione a ricordarsele tutte insieme.
E genera una sana rabbia ricordare che gli ingenti profitti dello IOR (frutto di riciclaggio degli utili della mafia, bancarotte fraudolente, maxitangenti e nefandezze varie) fornirono un fiume di soldi per le campagne contro il divorzio e l’aborto, il feroce anticomunismo di Wojtyla, la sua guerra alla Teologia della Liberazione, e, ancor oggi, l’attacco della chiesa sul terreno della bioetica.

Per chi vuole rinfrescarsi la memoria allego una cronologia degli eventi.

1968 Lo Stato italiano introduce la tassazione dei dividendi per la Santa Sede, abrogando l’esenzione fiscale voluta da Mussolini. Per sfuggire al fisco italiano, Paolo VI affida il trasferimento all’estero delle partecipazioni vaticane a Marcinkus e a Sindona. Tramite un gigantesco gioco dell tre carte i beni del Vaticano passano di mano in mano, fino all’approdo in Svizzera e Lussemburgo. Di contro, Sindona approfitta delle finanziarie compartecipate dallo IOR e dei conti vaticani presso la sua Banca Privata Italiana per riciclare i soldi delle famiglie mafiose di cui è a sua volta consulente finanziario e faccendiere.
1974 Falliscono le banche di Sindona. Marcinkus, per le sue operazioni off shore, ripiega sul Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.
1978 Assurge al soglio pontificio Albino Luciani. Giovanni Paolo I fa giusto in tempo ad enunciare il proposito di cacciare tutti i vertici dello IOR a calci nel culo, poco prima di morire di “morte naturale”.
Gli succede a stretto giro Karol Wojtyla, che riceve sull’unghia dal duo Calvi/Marcinkus 100 milioni di dollari da devolvere a Solidarnosc. I vertici dello IOR rimangono al loro posto.
1979 Sindona fa ammazzare Giorgio Ambrosoli, il commissario liquidatore della Banca Privata Italiana che ne stava analizzando le irregolarità.
1982 Calvi penzola sotto il ponte dei Frati Neri, il crack dell’Ambrosiano rovina decine di migliaia di famiglie. Il Vaticano prova a far finta di niente, anche se le sue responsabilità nel crollo sono enormi: si stima che le consociate estere dell’Ambrosiano vantino crediti per 1159 milioni di dollari verso le società estere dello IOR. Beniamino Andreatta (all’epoca ministro del tesoro), incazzato come una iena, pretende che lo IOR sani lo scoperto. Il Vaticano se la caverà un paio di anni dopo, sborsando 242 milioni di dollari sotto forma di “contributo volontario”, senza riconoscere alcuna responsabilità. Marcinkus non potrà essere inquisito per il crack, in quanto “gli Enti Centrali della Chiesa Cattolica sono esenti da ogni ingeranza da parte dello Stato italiano” (Patti Lateranensi, art. 11).
1986 Sindona beve un caffè di troppo.
1989 Marcinkus viene messo in pensione, gli succede il suo delfino Donato De Bonis.
1990 Wojtyla vara il nuovo statuto dello IOR, che permette anche ai laici di rientrare fra la clientela, purchè destinino parte dei loro fondi a opere di bene. E’ IL SALTO DI QUALITÀ: L’ITALIA DIVIENE L’UNICO PAESE CHE DISPONE DI UNA BANCA OFF SHORE NEL CENTRO DELLA CAPITALE. “Lo IOR non è sottoposto alle norme antiriciclaggio, non può essere perquisito, l suo personale non può essere intercettato o interrogato”. Questo sempre grazie ai Patti Lateranensi, art. 11.
Sotto la gestione De Bonis si moltiplicano i conti cifrati, intestati formalmente a Fondazioni benefiche inesistenti. Due sono di particolare interesse, e fanno capo ad Andreotti e ai Ferruzzi.
De Bonis si occupa personalmente di versare su questi conti fiumi di denaro contante e in titoli di stato che vengono subito dirottati su conti svizzeri.
Si tratta di una parte della maxitangente Enimont , la “Madre di tutte le tangenti”, in viaggio verso i mille rivoli della corrente andreottiana e dei conti del PSI.
1993 Tangentopoli rompe l’incanto.

Il libro di Nuzzi finisce qui, dopo un accenno alle cassette di sicurezza utilizzate per il denaro dei Corleonesi. Si potrebbe continuare con altre storie, tipo le mazzette di Fiorani per l’acquisto della Cassa Lombarda, o i fondi neri della Gea (la società del figlio di Moggi), fino all’inchiesta dei Grandi Appalti e il conto IOR di Angelo Balducci … ma tocca cominciare a scrivere un altro libro.

Il libro: Gianluigi Nuzzi, Vaticano S.p.A., Chiarelettere, 2009, 304 p.

Il vangelo secondo Gesù Cristo

Il progetto di un dio malato di mente avvolge i destini umani come una tela di ragno. Promette fiumi di lacrime e sangue per appagare un infinito egocentrismo (e son tutte promesse che mantiene).
Vano ribellarsi, perché anche la ribellione (e il Diavolo lo sa bene) trova – nel progetto – spazio, collocazione, ruolo.
Senza speranza questo Vangelo, e questo Gesù condannato ineluttabilmente all’altare del sacrificio. Gesù che ci prova sul serio a salvare il genere umano, e non dal peccato o dal diavolo, ma dal progetto di dio.
Gesù che – malgrado dio – riesce ad amare e vivere, nelle pieghe e nelle zone d’ombra del copione stabilito per lui.

P.S. Ho l’impressione che lo stesso Saramago si sia accorto dell’eccessivo determinismo della sua interpretazione, e abbia deciso, con “Caino”, di concedere qualche chanche al libero arbitrio, un granellino di sabbia che fa saltare tutto l’ingranaggio (ne adoro il cinico finale).

Il libro: Josè Saramago, Il vangelo secondo Gesù Cristo, Feltrinelli, 2010, p. 352.

Desideri/segnalazioni

Jacob Wassermann, Sturreganz, Fiorenzo Albani Editore, 2009, 120 p.

Un paese sommerso dai debiti… governanti inetti e corrotti… finte ballerine (ma vere concubine)…
un popolo intristito e depresso…  un comico in piazza a scuoterlo… ma che paese è?

Sturreganz, scritto da Wassermann in una Germania che diverrà presto nazionalsocialista,ed ambientato in una Baviera di fine ‘700 con sullo sfondo quella guerra imperiale che è la rivoluzione americana, è un gioco triste su uomini, governi e governanti che sembra qua e là parodiare l’Italia di oggi.

Alexandre Jacob,  I lavoratori della notte, Bepress, 2010, 160 p.

Passato alla storia come “il ladro gentiluomo” secondo lo scrittore francese Maurice Leblanc da cui creò il personaggio di Arsenio  Lupin, Alexandre Jacob convinto dell’ingiustizia del mondo, ancora giovanissimo fonda con alcuni suoi compagni il gruppo “Les travailleurs  de la nuit” (“I lavoratori della notte”). In soli tre anni,
dal 1900 al 1903 Jacob e la sua banda mettono a segno  oltre 150 furti. Furti leggendari, robinudiani “togliere ai ricchi per dare ai poveri”, che rendono giustizia sociale e dignità a tutti quelli che la società dell’opulenza  aveva negato. Arrestato con tutta la banda nel 1903,
Jacob trasformò la propria difesa in un comizio leggendario: “una parte del mondo vive nel freddo, nella fame, nel dolore. Io ho voluto vendicarla”.

 

Segnalazioni balneari

Un po’ di titoli “leggeri” (ma non stupidi) più consoni al clima vacanziero.

Attenti però a non rilassarvi troppo: luglio porta con se l’entrata in vigore della controriforma Fornero, e prevedo che in agosto non ci faranno mancare il decreto di devastazione del pubblico impiego. Leggete pure frivolezze, ma ad occhi ben aperti e spalle rivolte al muro.

 

Pino Cacucci, San Isidro futbol, Feltrinelli, 2002, 104 p.  Divertentissimo. Un libro da sniffare fino in fondo.

 

Raul Argemi, Schenardi R. (traduttore), L’ultima carovana della Patagonia, La nuova frontiera, 2010, 284 p.  E’ un libro capace di farti sbellicare, lasciandoti però un retrogusto amaro di mate, perché l’unica cosa che sopravvive alla fine è l’utopia.

 

Guillermo Arriaga, Pancho Villa e lo squadrone ghigliottina, Fazi, 2066, 167 p. Un umorismo un po’ macabro, ma trattando di Messico non potrebbe essere altrimenti.

 

Amuleto

Già dopo la prima mezz’ora alle prese con Auxilio Lacouture cominci a sbuffare… uffa quanto è prolissa questa frikkettona allampanata , simpatica, si, ma scoppiata come uno Zeppelin, e poi chissenefrega delle sue nottate deliranti, delle sue sbronze e soprattutto che palle con tutti questi giovani poeti messicani e vecchi giornalisti falliti …. ma mentre sei lì che smoccoli dopo una lunga sfilza di dettagli privi di interesse, scivoli senza avvedertene nell’ultima visione allucinata di questo folle personaggio, un immenso atto di amore verso una generazione, che ti fa dire “si, fosse anche per queste poche pagine, ne valeva la pena”.

Il libro: Roberto Bolano, Ilde Carmignani (traduttrice), Amuleto, Adelphi, 2010, 141 p.

Il piccolo diavolo nero

1898. L’esistenza più o meno serena dei cinque perdigiorno che per tutto il libro hanno cazzeggiato di ciclismo impatta con i moti di Pavia e Milano e con la carneficina guidata da Bava Beccaris. E’ la perdita dell’innocenza. Da allora si disperderanno e la loro vita non sarà più la stessa.
Manfredi ci introduce nella “rivolta dello stomaco” da vari punti di osservazione: le barricate, le infermerie improvvisate, i tetti della città, le redazioni dei giornali (bella figura il Corriere della Sera ! Complimenti!).
Ci introduce anche nelle pieghe dell’animo umano, di chi a fronte dell’emergenza tira fuori il coraggio o la vigliaccheria.

– – – – – – – – – –
Alle grida strazianti e dolenti
di una folla che pan domandava
il feroce monarchico Bava
gli affamati col piombo sfamò.
Furon mille i caduti innocenti
sotto il fuoco degli armati caini
e al furor dei soldati assassini
«Morte ai vili!» la plebe gridò.
Deh non rider sabauda marmaglia
se il fucile ha domato i ribelli,
se i fratelli hanno ucciso i fratelli
sul tuo capo quel sangue cadrà.
La panciuta caterva dei ladri
dopo avervi ogni bene usurpato
la lor sete han di sangue saziato
in quel giorno nefasto e feral.
Su piangete mestissime madri
quando scura discende la sera
per i figli gettati in galera
per gli uccisi dal piombo fatal.

(Inno del sangue – Il feroce monarchico Bava)

Il libro: Gianfranco Manfredi, Il piccolo diavolo nero, Tropea, 2001, 352 p.

 

Desideri/segnalazioni

Oggi segnalo quattro biografie:

Osvaldo Bayer, Alberto Prunetti (curatore), Severino Di Giovanni. C’era una volta in America del sud, Agenzia X, 2012, 256 p.  Recensione su Carmillaonline.

 

 

 

 

Franz Mehering, Vita di Marx. Una biografia rivoluzionaria, Shake, 2012, 416 p. Recensione su Carmillaonline.

 

 

 

 

 

 

AAVV, Lelio Basso, Punto Rosso Edizioni, giugno 2012, 436 p.

 

 

 

Mary Harris Jones, Autobiografia di Mamma Jones, Fiorenzo Albani Editore, 2009, 251 p.

Recensione su Carmillaonline.

 

Il Consiglio d’Egitto

Passione e morte di un reo di Stato

“Hai scritto che la tortura è contro il diritto, contro la ragione, contro l’uomo, ma quello che hai scritto resterebbe l’ombra della vergogna se tu ora non resistessi …
Alla domanda ‘quid est quaestio?’ hai risposto in nome della ragione, della dignità: ora devi rispondere col tuo corpo, soffrirla nella carne, nelle ossa, nei nervi, e tacere….
I giudici che credono alla quaestione sanno che ci sono dei malefizi che la rendono inefficiente … ma non sanno che questi malefizi altro non sono che il pensiero…
Devi pensare se vuoi resistere, devi pensare …
Circa due secoli addietro diedero la corda ad Antonio Veneziano: ebbe sette tratti di corda, e tinni…
Devi tenere anche tu. Era un poeta, di complessione più delicata della tua, più gracile … e tinni ..
Per una pasquinata contro il vicerè, e tu invece sei un reo di Stato …”

Me lo sono chiesto spesso, senza sapermi dare una risposta: come hanno fatto in via Tasso, alle Caserme Rosse, a Voghera, a Trani … come ci sono riusciti/e a ‘tenere’ ?
Per amore o cocciutaggine, per ideologia o perché “il dolore era talmente grande che ho dimenticato tutto quello che volevo dirgli per farli smettere”; concentrandosi sul proprio corpo o volando altrove con la mente…
Nella ricostruzione di Sciascia, il repubblicano Francesco Paolo Di Blasi seppe resistere grazie alla cultura, alla fedeltà verso se stesso e ad un intenso amore per la vita che gli impose di concluderla con dignità.
Non sappiamo se nella realtà fossero veramente quelli i suoi pensieri, sappiamo però che nel 1795 resistette davvero fino alla morte, senza tradire i suoi compagni di congiura.

Non voglio dilungarmi molto, perché qualsiasi recensione non riesce a rendere onore a questo libro: dovrei riportarvelo tutto, parola per parola, e allora tanto vale ve lo leggiate per i fatti vostri.
E’ divertente e doloroso, profondo e vero (anche la geniale impostura dell’abate Vella è veramente accaduta). Irride alla Storia scritta dal potere, ci insegna il significato del “secolo dei lumi” descrivendoci le tenebre.

PS: Nel 1982 Sciascia intervenne sulla tortura in Italia non solo come scrittore ma anche come deputato, a fronte del dilagare di tale pratica nelle caserme, questure, carceri speciali e non.
Per info: Comitato contro l’uso della tortura, La tortura in Italia, 1982.

Il libro: Leonardo Sciascia, Il Consiglio d’Egitto, gli Adelphi, 2009.

Filmografia: Emidio Greco, Il Consiglio d’Egitto,  2002, 137′.  PS Ho sempre immaginato questa storia interpretata da un Di Blasi/Volontè e da un abate Vella/Salvo Randone, gli unici degni di ruoli così complessi. Per questo, dopo il film di Greco,  era inevitabile la delusione .

Noi credevamo

Che cos’è questo libro?

Una controstoria dell’Unità d’Italia ?

Un manuale di comportamento in prigionia?

O forse lo specchio di ogni rivoluzione tentata, di ogni rivoluzione tradita.

Profonde e amare queste memorie di un vecchio repubblicano, una rivisitazione spietata  del proprio percorso e della propria sconfitta,  doloroso affresco sui peccati originali di un processo unitario che ancora non abbiamo finito di scontare.

Ieri ho ascoltato le parole di Napolitano su Garibaldi. E mi è venuto da vomitare: “combattente, uomo d’armi, condottiero e animatore dell’Unità nazionale ebbe la capacità di riconoscere i limiti del suo ruolo, di temperare il suo orgoglio e di concorrere a quel concerto di volontà che fu determinante per raggiungere il grande obiettivo dell’unificazione nazionale, con la monarchia sabauda e sotto la regia sapiente di Cavour”.

Osservo la retorica seppellire il Risorgimento, esaltare il compromesso, il “realismo”, rendere merito ai quei pezzenti dei Savoia e ai loro sottoposti. E ripenso ad una frase che Anna Banti mette in bocca al Generale: “Gli uomini della consorteria non possono perdonare alla rivoluzione di essere la rivoluzione”.

Me lo sono sempre chiesto: cosa ha spinto la componente repubblicana o i primi simpatizzanti socialisti a  dare il sangue per un progetto unitario così diverso, così antitetico rispetto alle loro speranze. Cosa li motivava ?  Non ho trovato risposte nei pipponi patriottici. In questo libro si.

Struggente l’interpretazione che dà la Banti dell’impresa di Pisacane: “Io credevo di sapere per certo che, stanco di prudenti riserve, di contrasti dottrinali, di alterne decisioni, convinto di essere rimasto solo, Pisacane aveva organizzato un suicidio che scuotesse gli animi torpidi”. Insomma, una sorta di tragica “propaganda del gesto”.

Quanto a Garibaldi, è come se avesse collocato le sue azioni in un percorso di lungo periodo, una storia che altri avrebbero continuato, e solo in nome di questa speranza ne avesse accettato l’inadeguatezza e la parzialità: “La repubblica è morta, e io non ho saputo parlare in suo nome… Questa terra scotta, e ancora di più scotterà in futuro, quando mi si accuserà di non aver mantenuto ciò che ho promesso al popolo. … uomini come voi debbono tener viva la fede in un avvenire di vera giustizia … Il tempo non conta, e non sempre avremo le mani legate…”.

Vorrei dirgli che no, non è andata così. Che il patto fra il capitale industriale del nord e il latifondo del sud ha condannato il meridione ad un destino di sottosviluppo, e non ne siamo ancora usciti. Che abdicare alla propria idea di rivoluzione non è servito a migliorare i destini delle genti di questa penisola, di quelle masse che restavano in disparte nel processo rivoluzionario, perché “la loro secolare saggezza li avvertiva che niente sarebbe cambiato in un mondo diviso fra ricchi e poveri”.

Bellissime le pagine sulla prigionia politica nelle carceri borboniche – Procida, Montefusco, Montesarchio – non solo per la descrizione delle condizioni oggettive (durissime), ma anche per la dimensione soggettiva della detenzione. Pagine necessarie per chi ancora oggi con la prigionia si trovi a fare i conti.

Nel flusso di un lungo monologo interiore scorrono i pensieri dei condannati, le paure, le fragilità, le speranze e lo sconforto, le piccole e grandi viltà. Si alternano  l’orgoglio e la tentazione di cedere, si cercano modalità per resistere: l’immaginazione, i ricordi (perché “nessuno può togliermi quel che ho avuto”).

Crescono legami forti, ma anche tensioni fra uomini in gabbia, i tradimenti che spezzano la solidarietà. E le differenze di classe: anche il carcere si divide in servi e padroni, nobili e plebei votati ai lavori servili. Una differenza che coincide con la rigida suddivisione dei ruoli anche a livello politico: c’è chi decide,  chi invece viene relegato ai margini.

Non risulta dunque strano, che ad unificazione avvenuta, gli ex dirigenti rivoluzionari “scaricati di responsabilità verso il paese, si affrettino a rientrare nei privilegi di classe, di cultura, di censo che cospirando avevano dimenticato “.

Credo che su questi temi potremmo ragionare a lungo, anche sulla nostra storia recente.

 

Il libro: Anna Banti, Noi credevamo, Mondadori, 2011, 348 p.

Filmografia: Mario Martone, Noi credevamo, 2010.