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L’assalto al cielo. Per una storia dell’operaismo

CAP.1 SUPERARE GLI ANNI ‘50
Nel secondo dopoguerra si consuma la sconfitta di quei ceti operai che nella resistenza avevano acquisito forza e organizzazione. Gradualmente mutano i processi produttivi, richiedendo mano d’opera non specializzata e priva di esperienza sindacale. Il PCI sposa il mito della produttività per la ricostruzione del paese, e gli operai “rimangono senza partito”. Sfumano le velleità rivoluzionarie dei partiti della sinistra, che pongono sempre più al centro le politiche istituzionali allontanadosi dalla classe.

CAP. 2 QUADERNI ROSSI E L’INCHIESTA OPERAIA
Alla fine degli anni ’50 intellettuali di varia provenienza (molti transfughi del PSI) si ritrovano sull’esigenza di un rinnovamento teorico adeguato alla fase.
Con la rivista “Quaderni Rossi” Panzieri, Tronti, Alquati e altri si pongono come obiettivi la restituzione del marxismo al suo naturale terreno della critica permanente; lo sviluppo del tema dell’autonomia di classe e del rapporto fra classe e organizzazione.
Si sperimenta l’uso della sociologia come strumento di analisi mutuato dalle scienze borghesi, mentre Alquati va al di là con la “conricerca”, non solo metodo di indagine ma di lavoro politico.
Panzieri demistifica la pretesa neutralità della scienza e del processo tecnologico, sia in riferimento all’Occidente che all’URSS; Tronti identifica la forza lavoro in quanto merce come parte del capitale, e di conseguenza come nemica della classe stessa . Da qui il superamento delle tradizionali rivendicazioni di autogestione operaia della produzione per approdare alla teorizzazione della lotta contro il lavoro.

Il resto ve lo racconto man mano che lo rileggo.

Il libro: Steve Wright, L’assalto al cielo. Per una storia dell’operaismo, Edizioi Alegre, 2008, 336 p.

Recensione anche su Carmillaonline.

Valerio Verbano. Ucciso da chi, come e perchè.

Un viaggio nell’arcipelago neofascista romano degli anni ’70 in compagnia di una guida competente, capace di districarsi in un guazzabuglio di sigle, personaggi, codici di linguaggio, dinamiche, posizioni, sfumature, e di redercele in maniera comprensibile.
Con la profondità di un libro di storia e il ritmo di un romanzo, Lazzaretti delinea il contesto in cui si svolge l’omicidio di Valerio.
Sulla base dell’analisi dei documenti rivendicativi avanza un’ipotesi sugli esecutori, collocando l’azione nell’ambito della battaglia politica interna alla destra in armi fra chi rivolgeva le sue velleità rivoluzionarie contro lo Stato (poliziotti , giudici), e chi rimaneva appiattito sui bersagli tradizionali (i compagni).
Questo di Lazzaretti è un lavoro rigoroso, dove ogni affermazione rimanda ad una fonte, quasi scevro da giudizi di merito perché molto legato ai fatti e concentrato nello sforzo di capire.

Davanti a questa panoramica su un ambientino che va dal Fuan/Nar a Terza Posizione passando per i vecchi ordinovisti e il “fronte carceri” , la sensazione finale è nauseante.
Alcuni aspetti (forse secondari) mi hanno colpito più di altri.
Intanto la pratica dell’ambiguità elevata al rango di comportamento rivoluzionario: già dai Fogli d’ordine (i vademecum per giovani camerati) si consiglia, in caso di arresto, di sparare cazzate, costruire confessioni di comodo finte ma verosimili…
L’ambiguità continua con la tattica del “mimetismo” : accollare le proprie azioni a sigle di sinistra (e qui Piazza Fontana ha fatto scuola), per creare polveroni, direzionare la repressione altrove. Insomma …questa è gente col depistaggio insito nel DNA, che si atteggia da eroe e poi non ha nemmeno i coglioni per rivendicare quello che fa.
Gente dalle logiche contorte, che – per esempio – decide di “proporre una tregua al movimento” assaltando un gruppo di donne inermi a colpi di mitra e bombe a mano … e che poi si stupisce pure se il movimento invece di accettare la tregua si incazza come una bestia.
Gente che redige riviste “teoriche” che danno spazio ad Angelo Izzo (e perché non anche a Pietro Pacciani e Hannibal Lecter ?)
Gente che “fa la rivoluzione contro il Sistema” sotto la protezione di papà Alibrandi (sodale di Andreotti) che gli aggiusta i processi.
Gente che non ha alcun intervento sociale, la cui attività prevalente è quella di colpire i compagni.
E’ disarmante la loro pochezza ideologica, l’ immaginario mitico da fumetto della Marvel, l’inconsistenza del progetto politico (se escludiamo chi si è candidato coscientemente a manovale della strategia della tensione).

Altro aspetto disarmante è l’atteggiamento del PCI: sotto i colpi dei neofascisti cadono , inermi, anche suoi militanti. Un’ assemblea elettorale dentro una sede viene attaccata dai Nar a colpi di bombe a mano. Possibile che il PCI non abbia mai reagito ? Che abbia delegato bovinamente la difesa della sua gente allo Stato, cioè a quella stessa polizia che copriva i neofascisti, a quegli stessi giudici che li assolvevano ? Il PCI che era così solerte a schierare i servizi d’ordine contro gli autonomi, a investigare sulla presenza in fabbrica delle BR … eppure contro questi che gli sparavano addosso …. niente ??? Che fosse un’estensione, a 30 anni di distanza, del “lodo Togliatti” ? Mah?

Queste note sono solo alcune impressioni a pelle. Il libro è molto più ricco e anche utile per il presente, un po’ per ricordarci l’humus di provenienza di alcuni soggetti seduti sugli scranni parlamentari (o davanti a qualche scrivania dell’Atac), un po’ per rendere intelleggibili posizioni che ancora circolano.

Il libro: Valerio Lazzaretti, Valerio Verbano. Ucciso da chi, come e perchè, Odradek, 2011, 464 p.

Valerio Verbano. Una ferita ancora aperta.

Bel libro, che non tratta solo della “passione e morte” di Valerio, ma soprattutto della sua vita. E’ la biografia di un compagno attraverso la memoria di chi lo ha conosciuto, di chi ha condiviso con lui le esperienze di lotta, che rende a Valerio una statura umana e politica di tutto rispetto. Rende anche a noi l’atmosfera di quegli anni, la dimensione totale della militanza, l’ampiezza dell’esperienza collettiva, il radicamento nel territorio.
L’ultima parte – molto dettagliata – è dedicata alle “indagini” (chiamiamole così) seguite all’ esecuzione di Verbano: il suo dossier sui neofascisti sparito, i corpi di reato distrutti, gli interrogatori a cazzo di cane, gli approfondimenti mai fatti, fino all’archiviazione del caso.
Eppure, se proseguiamo con la lettura della controinchiesta di Lazzaretti (“Valerio Verbano, ucciso da chi, come e perché”), scopriamo che qualche ragionamento in più sui suoi assassini si poteva fare.

Il libro: Marco Capoccetti Boccia, Valerio Verbano. Una ferita ancora aperta, Castelvecchi, 2011, 272 p.

Sia folgorante la fine

Un libro durissimo, anche se scritto in maniera lieve, che ripercorre in ogni dettaglio l’esecuzione di Valerio e la conseguente devastazione della vita dei suoi genitori. Una vita normale che si trasforma in un incubo: vedere la persona che hai più cara ammazzata come un cane, e poi, a seguire, la polizia che spara sul funerale, i testimoni che “spontaneamente” cambiano versione, le minacce telefoniche, l’isolamento.
Carla Verbano, cercando gli assassini, delinea l’identikit di quello che ne fu il fiancheggiatore. Lo Stato, che sequestra e fa sparire la controinchiesta di Valerio, che “perde” o distrugge le prove e i corpi di reato, che organizza i depistaggi.
Lo Stato che non è capace di inquisire i NAR, ma è capacissimo a coprirli, fino a che non arriva il momento, dopo la strage di Bologna, di disfarsi dei suoi servi sciocchi.
Quanto alla lettura del periodo, non ci si deve aspettare da questo libro una lettura politica.
Gli anni ’70 non devono essere stati per Carla altro che il preludio all’episodio che le ha distrutto la vita, non c’è da stupirsi se guardandosi intorno si accorge solo del sangue versato. Il movimento le appariva impegnato in una sorta di guerra dei bottoni cruenta e sanguinaria, dove giovani di destra e di sinistra si accoppavano non si capiva ben perchè. Nessun accenno a un grande sogno collettivo, lo stesso sogno di Valerio, descritto come un ragazzino che “faceva l’autonomo”. Eppure ho l’impressione che anche i ragazzini in quel periodo sapessero assumersi coscientemente responsabilità e rischi in nome di quel sogno, e negarlo significa non riconoscerne la dignità politica.

Il libro: Alessandro Capponi, Carla Verbano, Sia folgorante la fine, Rizzoli, 2010, 201 p.

Storie di assalti Frontali. Conflitti che producono banditi

Storia delle autoproduzioni musicali delle posse romane dall’inizio all’epilogo.

Ho sempre ritenuto poco praticabili le ipotesi rivolte a ritagliarsi isole al di fuori del mercato, fermo restante l’attuale sistema di produzione. Storicamente la maggior parte delle esperienze in tal senso o si sono trasformate in qualcos’altro (vedi cooperative) diventando parte del mercato stesso, o sono campate di stenti fino ad esaurirsi (vedi le Comuni). Ci sono, a dire il vero, anche segnali in senso inverso (le fabbriche recuperate in Argentina), ma restano minoritari.
Nulla da rimproverare, dunque,  a Militant A e soci se non ce l’hanno fatta (tranne il fatto che per un decennio ci hanno stracciato i maroni con sta storia dell’autoproduzione che sembrava fosse al centro dell’universo).
Quanto alla scelta di registrare per la Sony, … . beh, se vi ha creato così tante contraddizioni sappiate che non è obbligatorio, si può sempre scegliere di fare altro, tipo lavorare al tornio o allevare il baghino.

Il libro: Militant A, Storie di assalti Frontali. Conflitti che producono banditi, Castelvecchi, 1997

Il colore dei fuochi fatui

QUESTO LIBRO E’ UNA VACCATA DISUMANA.

Premesso che:
– si salva all’inizio , dove si descrive il clima di movimento nell’esperienza diretta di una giovane militante
– si salva la parte sui fatti di marzo ’77 a Bologna, raccontata in presa diretta e con una forte carica emotiva

Gli aspetti positivi di sto libro affogano purtroppo in un mare di pagine dedicate a gente che fa sesso o ne parla. Per carità, buon per loro, ma la cosa dopo un po’ risulta alquanto noiosa (almeno per me). Continua la lettura di Il colore dei fuochi fatui