La città piange e fa pena

La creta, la selenite e l’arenaria.
Di qui nasce il colore di Bologna.
Nei tramonti brucia torri e aria.

A che punto è la città?
La città è lì in piedi che ascolta.
Io non dico il privato è politico.
Dico anche il privato è politico.

A che punto è la città?
La città si nasconde le mani.
I democristiani non governano l’Italia
ma la gestiscono.
In trent’anni l’hanno succhiata leccata masticata
peggio dei Visigoti
e di Attila che correva a cavallo.
Al confronto Attila è una farfalla dai novanta colori
Questi hanno facce di pesci-tonno, pesci-guerra, pesci-fuoco.

A che punto è la città?
La città legge la sua pergamena.
Un giorno gli schiavi sono vestiti di bianco.
Quel giorno l’impero di Roma è condannato.
Quando gli uomini si contano
un momento di storia è cominciato.

A che punto è la città?
La città tace perché non è più primavera.
La verità è il massacro.
Il massacro è la realtà.
Mille creature tagliano l‘acqua con il coltello affilato
per guardare il sangue del mare.

A che punto è la città?
La città in un angolo singhiozza,
Improvvisamente da via Saragozza
le autoblindo entrano a Bologna.
C’è un ragazzo sul marmo, giustiziato.

A che punto è la città?
La città si ferisce
camminando
sopra i cristalli di cento vetrine.

A che punto è la città?
La città piange e fa pena.
Poi elicotteri in aria
perché le vetrine son rotte
Le vecchiette allibite
perché le vetrine son rotte
Commendatori adirati
perché le vetrine son rotte
I tramvieri incazzati
perché le vetrine son rotte
Tutte le strade deserte
perché le vetrine son rotte
Carabinieri schierati.
perché le vetrine son rotte
Sessantamila studenti
perché le vetrine son rotte
Massacrati di botte
perché le vetrine son rotte.

A che punto è la città?
La città si scuote come un cane.
Il ragazzo ucciso è seppellito
con il rito formale.
Segue la pace ufficiale
con i poliziotti ai cantoni
In galera centottanta capelloni.
Grida la gente: lazzaroni,
studiate
invece di fare barricate
per mandare in malora una città.
Non si trascina alla gogna
la città di Bologna.
Chi è studente va con la ragazza
non in piazza a farsi ammazzare.

A che punto è la città?
La città ansima e ascolta
il suono di un chiodo che ferisce
strisciando sul vetro di marzo
e così dice:
Era un ragazzo venuto dal niente.
ucciso per strada.
colpito alla fronte.
era un ragazzo venuto da niente.
gridava la gente.
scappava sul ponte.
era un ragazzo, le ore del cuore
le passava sui libri
a mangiare il furore.
una mano di sangue strisciando sul muro
picchiò con la rabbia
un colpo sicuro.
la gente piangeva. era freddo cemento
l’asfalto disteso
e lui moriva nel vento.
bandiera stracciata. un mese è passato.
La terra è fiorita
sul suo corpo straziato.

A che punto è la città?
La città apre le porte e cammina per strada.
Cosa dice la città?
Dice che nell’inverno del ’76-’77 non ci fu neve.
Dice che in marzo è ancora inverno.
Dice che adesso è aprile.
Dice che ogni giorno aspettiamo qualcosa.
Dice: Eco? Umberto? questo intellettuale
da calendario, sarà il nuovo rettore?

A che punto è la città?
La città riacquista i suoi colori.
Ma noi per eterni languori all’italiana vediamo
ripetersi la scena che accompagnò all’inizio degli
anni Sessanta la gimkana del centrosinistra, quando
un partito fu dato in pasto ai leoni che lo spolparono.
II gestore del pranzo di gala, furbetto
e sciapo quasi a chiedere scusa, fu l’on. Moro.
Oggi col suo occhio sbiascicato
eccolo riapparire
con il mandato e la giustificazione
di masticare la nuova polpetta
in un solo boccone.
Ma senza fretta senza fretta senza fretta.

Cosa grida la città?
La città dice che l’età dei guerrieri è finita.
Dice che ieri è cominciato il tempo
degli uomini-rana, degli uomini-gabbia,
degli uomini-lamento.
Ma che non si può finire
col non dire più niente.
Se si tace, il silenzio è la morte.
E nella notte resta solo voce di vento.
Dice che
la violenza è stupida e imperfetta.
La violenza è un luogo comune.
La violenza è vecchia e senza fantasia.
La violenza è inutile e malata.

Dice che
la libertà è difficile
e non è lì che aspetta.
La libertà fa soffrire.
La libertà spesso fa morire.
La libertà ha tre segni semplici e terribili:
vuole la mano
vuole il cuore
vuole la pazienza.

Conoscere non vuol dire distruggere
e poi amare la cosa distrutta.
Amare ciò che si è distrutto
non vuol dire lottare perché
una nuova verità sia avviata.
Un ultimo dubbio e la più
urgente delle necessita ed
è conoscenza vera.

Chi è sul carro
deve buttarsi a terra e correre correre lontano
quando il traguardo è a portata di mano
e il carro è vincitore.
Non offrirti così non sarai comperato.
Questo non è un tempo orribile.
E’ un tempo nuovo.
Non è un tempo impossibile.
E’ un tempo in cui ogni sera
si aspetta una notizia
da Maratona.

Roberto Roversi

 

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