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Aspettando il voto delle bestie selvagge

Vi ricorda qualcosa, o qualcuno ?

“L’imperatore era entusiasta dei vantaggi di ciò che chiamava il progetto della sua vita… Si trattava di fare del parco imperiale di Awakaba un luogo di incontro informale dei capi di Stato di tutto il mondo. Essendo Awakaba il parco più vasto e più ricco di fauna da caccia del mondo, l’Imperatore voleva attribuire a ogni capo di Stato una zona di caccia e un palazzetto personale. Ogni palazzetto sarebbe stato meravigliosamente arredato e fornito di una squadra di donne zendè che si sarebbe incaricata di tenere in forma i capi di Stato dopo le interminabili riunioni dell’ONU. I capi di stato, per via delle prestazioni delle donne zendè, si sarebbero affezionati ad Awakaba…. e un giorno il voto unanime di tutti gli Stati avrebbe consacrato il trasferimento dell’ONU a Awakaba”.

Ma che avete capito? Kouruma si riferisce a Bokassa, non ad un certo satrapo nostrano !!!

Tralasciamo gli aspetti grotteschi e pensiamo alle cose serie.
3 aprile 2011: 1000 morti in Costa d’Avorio in seguito ai combattimenti fra le truppe di Laurent Gbagbo – il presidente uscente (che non ha nessuna intenzione di uscire) – e le milizie di Alassane Ouattara – il vincitore delle elezioni.

22 marzo 2012: un mese prima delle elezioni presidenziali in Mali, il capitano Amadou Haya Sanogo prende d’assalto il palazzo presidenziale nella capitale Bamako e rovesciando il presidente Amadou Toumani Toure.

La cronaca aggiorna la trama di questo libro nell’infinita ripetizione di colpi di stato e massacri.

Nel testo di Kouruma la ripetizione è canone narrativo, ma non è solo una questione stilistica. Il ritmo cadenzato e ciclico del “donsomana” (la narrazione rituale delle gesta del dittatore) rimanda a una storia dell’Africa Occidentale che si ripropone sempre uguale a se stessa, nelle forme del dominio francese, nei percorsi di accesso al potere dei fantocci dei regimi post coloniali, così simili fra loro per le modalità dell’azione dittatoriale, oltre che per bizzarrie, superstizioni e efferata ferocia.
Si distinguono le parodie di Eyadéma, Houphouet-Boigny, Hassan II, Mobutu, Bokassa, Sékou Tourè, ma il protagonista è il Dittatore africano in sé, per anni pedina inamovibile di uno o l’altro dei blocchi della guerra fredda, che infine affronta l’instabilità causata alla caduta del muro e il conto presentato dal FMI.
Sfrondato dalle ripetizioni, dalla trasposizione dei fatti in chiave magica, dalle lunghe descrizioni delle deliranti stravaganze del dittatore di turno, in questo libro rimane però ben poco di nuovo per la comprensione della storia africana.
Mancano attori importanti (le multinazionali, FMI e BM, i mercati delle armi e delle materie prime, l’odierno conflitto interimperialista per il loro possesso, l’estendersi dell’influenza cinese)… e se l’oggetto del libro è “il Potere” in Africa, non sono omissioni di poco conto.

Insomma, troppe parole per pochi contenuti, anche se emergono alcune belle pagine, come il panegirico sui guerrieri Viet.

Il libro: Ahmadou Kourouma, Aspettando il voto delle bestie selvagge, E/O, 2006, 421 p.

Ancora un giorno

Carlotta sorride in copertina nel suo ultimo giorno di vita.
La guardo spesso e a lungo, così allegra, coraggiosa e bella, prima di essere uccisa nell’atto di proteggere il suo paese, la sua gente, gli stranieri che le erano stati affidati.
Da quel giorno, reso eterno da una foto, non ha più cantato, amato, combattuto.
Si è anche risparmiata parecchie cose: l’invasione sudafricana dell’Angola, il massacro di Cabinda e gli altri orrori perpetrati da Savimbi e da Holden Roberto, il volo degli avvoltoi della De Beers sui diamanti angolani.
Si è risparmiata più di 20 anni di guerriglia dell’UNITA, terminata soltanto quando il presidente Dos Santos decise di rivolgersi direttamente ai padroni dei suoi nemici (cedette agli USA, in cambio della pace, l’appoggio alle aggressioni dell’Iraq e dell’Afganistan).

Sotto gli occhi di Kapuscinski Luanda è una città che migra: alla vigilia della guerra civile i Portoghesi abbandonano il paese come i topi una nave che affonda.
Imbarcano sui cargo diretti in Europa o in Brasile interi pezzi della capitale, che si allontana oltremare lasciando dietro di se involucri vuoti.
Calvino l’avrebbe aggiunta a pieno titolo nel repertorio delle sue città invisibili.
Segue la quotidianità dell’assedio, prima annunciato – la paura crescente di qualcosa che ancora non si concretizza – e poi sempre più reale, l’abbandono, la sporcizia, la scomparsa del cibo e dell’acqua e di ogni tipo di attività utile all’uomo.
Fino a che anche il reporter polacco decide di cambiare aria, lasciandoci dentro uno scenario sospeso di devastazione e incertezza.

Il libro: Ryszard Kapuscinski, Ancora un giorno, Feltrinelli, 2008, 144 p.

L’altro mondo

Storia o metafora del presente (o forse entrambe) ?

Mi irritano gli autori che scrivono di avvenimenti verosimili senza specificare se si tratti di Storia o di fiction, soprattutto quando in proposito non trovo altri riscontri.
Comunque sia, questa Sardegna di fine ottocento, “spazio adatto” per la sperimentazione di organizzazioni militari parallele, corpi speciali e nuove terribili armi da impiegare nelle future guerre coloniali, mi ricorda parecchio il presente e il passato prossimo, dalla base Gladio di Poglina alle nocività militari della Maddalena e Perdasdefogu.
Fois ritorna su un suo tema ricorrente, il legame fra lo status semicoloniale della Sardegna e le aggressioni del colonialismo italiano alle popolazioni africane.
Un tema che ricorre fino ad oggi, e che ancora unisce in un atroce destino di veleni, tumori e malformazioni, gli abitanti di Quirra e quelli di Basra (Iraq) o di Peja – Peć (ex Jugoslavia).
Per ricordare di cosa si tratti: “Il poligono della morte – Salto di Quirra“, “Quirra, Sardegna. Vicino ai war games due su tre hanno la leucemia“.

Il libro: Marcello Fois, L’altro mondo, Frassinelli, 2002, 199 p.

Memoria del vuoto

Forse non cominciò col primo sgarro subito da un bambino che diventò bandito.

Forse sta storia comincia molto prima, e Samuele, la “tigre dell’Ogliastra” (personaggio di fantasia ma non troppo), la porta addosso ancor prima di nascere.
Forse iniziò con le chiudende, quando i printzipales recintarono le terre grazie all’editto di Vittorio Emanuele, che volle le enclosures anche in Sardegna (come nei “paesi moderni”) ma senza nessuna rivoluzione industriale che potesse sfamare, anche malamente, la moltitudine dei senza terra.
E furono migliaia di nullatenenti alla mercè dei notabili; esercito di riserva, si, ma per tutte le guerre dei Savoia, per ogni volta che una qualche Primavera interventista “chiamasse alla caccia la muta dei cani sardi”.
Fu storia di espropriazione e di soprusi, di miseria e dominio coloniale, che Samuele incarna nella sua vita e nella sua rivolta, individuale, violentissima, assoluta.
Una rivolta senza mediazioni, senza speranza di riscatto sociale, senz’altro obiettivo che devastazione e vendetta. E suicidio, perché non vi è alcun ritorno possibile a quel tempo – prima delle invasioni – quando “un dio prima di Dio” danzò sull’isola per risvegliare il corpo della Terra.

Attenzioni per il lettore: Fois usa parole che ti rimangono addosso, a volte con un realismo crudo, altre con la poesia di un sogno. Ti accompagna in mezzo alle carneficine della guerra in Libia o nelle trincee del Carso, costringendoti a guardare. Non ti risparmia il razzismo, il sessismo e nemmeno l’orrore. Ipersensibili astengasi.

Il libro: Marcello Fois, Memoria del vuoto, Einaudi, 2006, 218 p.

Passavamo sulla terra leggeri

 

Atzeni passa sulla storia leggero, racconta i miti fondativi dell’identità sarda facendola amare anche a chi sardo non è.
Come si fa, del resto, a non amare con allegria quei sacerdoti S’ard, che seppero essere grandissimi filosofi e al tempo stesso incommensurabili paraculi ?
E a non stupirsi del ruolo delle donne, guerriere, giudichesse o “custodi del tempo” in epoche in cui nel resto del mondo contavano meno di niente.
E a non invidiare, in questi tempi tristi, l’idea di una identità includente, aperta a chiunque si presentasse senz’armi, perché …
Comprendevamo d’essere al centro di un mare che si faceva di giorno in giorno più popolato.
Non potevamo fermare il ciclo dell’uomo, nessuno può fermarlo.
Dovevamo incontrare gli altri uomini, per crescere.
L’incontro ha un costo, pagarlo è inevitabile. ” Continua la lettura di Passavamo sulla terra leggeri