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RED AMERICA Lotta di classe negli Stati Uniti

“La libertà è il diritto di fare ciò che non da fastidio a chi ha il potere”,  questo pensò John Reed al processo farsa contro Alexander Berkman ed Emma Goldmann. Un concetto attuale, lo sento risuonare ogni volta che qualcuno – che sia Bersani o la Cancellieri, ma ultimamente anche Vendola o Landini – ci rammenta che la facoltà di opporci alla devastazione dei nostri diritti va esercitata ordinatamente, compostamente, possibilmente senza fare rumore. Reed sapeva che la parola libertà può essere declinata in ben altri modi. Questa antologia di suoi scritti è una bella lezione di giornalismo, un testo che dovrebbe far scuola per chi volesse esercitare il mestiere senza diventare un pennivendolo. Forse non è una lezione difficile: come Jack London e Upton Sinclair nei loro libri, come Joe Hill nelle canzoni, Reed raccontava semplicemente la realtà. Per farlo non badava ai mezzi: era uno che per intervistare gli IWW in galera si faceva arrestare nel fetido carcere di Paterson (e non nella villa con piscina della Santanchè) , uno che si infilava in mezzo agli scioperi sapendo che mercenari, sceriffi e soldati potevano sparargli addosso. Uno che conosceva profondamente gli eventi narrati, perché ne era interno.

Le sue cronache sono bellissime e importanti, testimoniano l’entità dello scontro di classe negli Stati Uniti del primo ‘900  e  l’inaudita violenza scatenata contro il movimento operaio americano.  Parlano di villaggi minerari simili a campi di concentramento, di condizioni di lavoro subumane, di fame, stenti e una rabbia che cresce. Elencano le “proprietà” degli industriali: giudici, sceriffi, giornali, eserciti privati, reparti della Guardia Nazionale … governi degli Stati Uniti.  Narrano la grande storia degli IWW, gli unici che seppero interpretare la nuova composizione di classe trasformando in forza ciò che fino ad allora, per il movimento operaio, era stato un fattore di debolezza: quell’esercito di immigrati usato nei decenni precedenti per  spezzare gli scioperi e sostituire i lavoratori organizzati.

A Paterson il carcere era una babele di lingue. Polacchi, ebrei, italiani, lituani, olandesi, belgi, tedeschi, slovacchi e perfino un inglese e un francese, che però si intendevano benissimo sui concetti fondamentali e su tre parole in inglese: One Big Union!  Centinaia di persone circolavano dal picchetto alla galera e dalla galera al picchetto, ma la prigione non sortiva i suoi effetti, forse perché la vita prima dello sciopero, fra fame e fabbrica,  era altrettanto terribile. Le guardie strippavano, rimbambite dai canti, dagli slogan ritmati dallo sbattere delle brande, e dagli assalti del francese che voleva per forza indottrinarle. Haywood, guidava lo sciopero dei serifici mentre era in galera con i propri iscritti. Ce li vedreste voi oggi Bonanni, Angeletti e la Camusso?

A Ludlow l’accampamento degli United Mine Workers – prima del piombo e del fuoco – sembrava  l’embrione di una nuova società. Contava 1.200 persone e 21 nazionalità diverse, che nel tempo finalmente liberato dal lavoro avevano cominciato  a conoscersi, organizzandosi insieme, superando i pregiudizi razzisti con cui i padroni li avevano divisi. Vennero falciati dalle mitragliatrici e bruciati vivi con mogli e figli. La lettura della corrispondenza di Reed su quel massacro  è indicata per chi volesse ricordare di che lagrime grondi e di che sangue la fortuna dei Rockfeller.

La prima guerra mondiale fu l’occasione, negli Stati Uniti come altrove,  per  sferrare l’offensiva contro il nemico interno: sotto la presidenza democratica di Wilson la Legge sullo Spionaggio e quella sul Sindacalismo Criminale rilanciarono in grande stile la pratica delle montature giudiziarie. Ne fece le spese  l’opposizione antimilitarista – Eugene DebsTom e Rena Mooney,  Billings, Nolan, Weimberg,  Alexander Berkman ed Emma Goldmann – e  (ovviamente) la componente più avanzata del movimento sindacale: Big Bill Haywood e altri 100 Wobblies vennero processati per cospirazione. Negli stessi anni la censura chiudeva 18 giornali della sinistra radicale, la polizia caricava le suffragiste davanti alla Casa Bianca, 1300 scioperanti di Bishee venivano deportati nel deserto.

John Reed, nelle sue corrispondenze sui processi, commentava: “La legge è un mero strumento per fare il buono o il cattivo tempo a favore degli interessi più forti. Non ci sono tutele costituzionali che valgano il prezzo della polvere da sparo usata per farle saltare in aria”, riuscendo di nuovo ad essere attuale.

Forse dovremmo ricordarcene, in un momento in cui – nelle parole di Mario Maffi – “il mondo srotola all’indietro una pellicola durata un secolo”.

Il libro:  John Reed, Mario Maffi (curatore), RED AMERICA  Lotta di classe negli Stati Uniti, Nuova Delphi, 2012, 242 p.

Desideri/segnalazioni

Gerald Steinacher, Casolo F. (traduttore), La via segreta dei nazisti, Rizzoli, 2010, 428 p.

Quando ormai il nazismo stava crollando, i massimi esponenti tedeschi cercarono rifugio in Alto Adige. Criminali ricercati in tutta Europa, come Mengele e Eichmann, vennero ospitati nei conventi, dove si sottoposero al battesimo cattolico, e ricevettero una nuova identità e lettere di raccomandazione. Un apposito ufficio del Vaticano si incaricava di presentare domanda di accoglienza a Paesi sudamericani e infine la Croce Rossa autorizzava l’espatrio. Attraverso la consultazione minuziosa di archivi per lungo tempo inaccessibili (da quelli nazionali a quello della Croce Rossa a Ginevra ai molti archivi comunali e parrocchiali sudtirolesi), Gerald Steinacher ricostruisce il perfetto e scandaloso meccanismo che ha sottratto alla giustizia, in alcuni casi per sempre, i peggiori criminali di guerra.

Marino Ruzzenenti, Shoah le colpe degli italiani, Manifestolibri, 2011. 200 p.

A oltre sessantacinque anni dalla tragedia della Shoah, manca ancora una riflessione esauriente sulle responsabilità italiane per lo sterminio degli ebrei, sulle colpe del cattolicesimo e del fascismo. Il volume dà un contributo a questa indagine analizzando in profondità due pagine inedite. Innanzitutto indaga sul ruolo che svolse il cattolicesimo italiano, attraverso la figura chiave dell’intellettuale Mario Bendiscioli, nella gestazione delle leggi antisemite del 1938. Documenta poi come i fascisti della repubblica sociale furono protagonisti di primo piano, spesso in competizione con gli stessi tedeschi, nella caccia agli ebrei da avviare allo sterminio. Da questo studio emerge un radicamento tutt’altro che marginale del razzismo in molti settori della società italiana, che tante ricostruzioni storiografiche hanno preferito sminuire o lasciare nell’ombra.

La variante di Lunenburg

Giocare all’inferno

Apparentemente si parla di scacchi e scacchisti, e della loro febbrile passione. Ci si addentra in questo gioco affascinante, senza accorgersi che il vero oggetto del libro è disseminato nei dettagli apparentemente insignificanti fra una partita e l’altra. A lungo ci si immerge nella comunità di giocatori – chiusa nei propri riti, linguaggi, tossicodipendenze da scacchiera – e  si crede  di stare in un mondo a parte, avulso dalla Storia che gli scorre attorno.

Lo credeva anche il giovane Rubinstein, come se  il mondo degli scacchi fosse una dimensione protetta, impermeabile al dilagare della violenza antisemita. Così come credeva anche suo padre che la condizione benestante li ponesse al riparo, in una sorta di ostinata rimozione dei segnali evidenti di una rovina che avanza.

Tutt’intorno l’ ideologia nazista contagia ogni strato sociale senza che nessuna cultura o spirito sportivo possano farvi argine, generando nelle sue vittime, ancor prima che il panico, incredulità e stupore.  Vienna non aspetta nemmeno che il Terzo Reich prenda formalmente il potere per dare inizio al pogrom. Per conformismo o convinzione il consenso è trasversale: dal cameriere al barone nessuno vuole farsi sfuggire la grande opportunità di odiare. Da lì in poi è una discesa all’inferno, dove la guerra simulata su una scacchiera diventa guerra reale, con una terribile posta in gioco.

PS. In questo libro oltre a molta storia c’è un po’ di attualità: scampati al processo di  Norimberga, buona parte dei criminali nazisti rimasero in Germania del tutto impuniti, conservando gli averi e la posizione sociale. Così come fecero Gherard Sommer, Werner Bruss, Alfred Concina, Ludwig Goring, Karl Gropler, Georg Rauch, Horst Richter e Heinrich Schendel, condannati in Italia e assolti in Germania per la strage di Sant’Anna di Stazzema. Peccato che, a differenza del personaggio di Mauresing, questi qui non si siano sparati il colpo in testa (vedi : LA STRAGE SENZA COLPEVOLI, su Il Manifesto 2/10/2012).

Il libro: Paolo Mauresing, La variante di Lunenburg, Adelphi, 2003, 158 p.

Il procuratore della Giudea

Lo so che Anatole France è un premio nobel per la letteratura. Lo so che “Il Procuratore della Giudea” è stato definito da Sciascia “il racconto perfetto”.
So anche che la recensione che segue mi qualificherà come una grezzona che di letteratura e filosofia non capisce un belino …. ma questo dialogo fra un vecchio amministratore coloniale razzista e irrancidito e un figaiolo impenitente (tal Lamia) mi lascia alquanto perplessa.
Sicuramente il primo impatto con le opinioni di Pilato sugli ebrei è decisamente greve, in particolare in un passaggio agghiacciante: “Non si riuscirà mai a domare un popolo simile. Bisogna non farlo più esistere. Bisogna distruggere Gerusalemme dalle fondamenta. Ed è possibile che, per quanto vecchio, mi sia dato di vedere il giorno in cui le sue mura crolleranno, i suoi abitanti saranno passati a fil di spada e il sale sarà sparso sulla piazza dove il tempio sorgeva. E in quel giorno mi sarà infine resa giustizia“.
Ok, France ha scritto il racconto nel 1902 e non poteva prevedere che 40 anni dopo Hitler l’avrebbe preso in parola.
E’ inoltre verosimile che un Pilato, ex scherano dell’impero, potesse pensarla a quel modo nei confronti di una popolazione dominata che, “incredibilmente”, rifiutava e combatteva la civiltà romana imposta con la spada.
Quello che non ci stà però è la risposta di Lamia – colui che nel racconto dovrebbe avere il ruolo di contrastare il delirio sanguinario dell’ex prefetto – il cui argomento principale è che non bisogna odiare gli ebrei ….. perché è un popolo pieno di belle gnocche !!!!! Cioè, se fossero state chiatte, baffute e strabiche si sarebbero potute tranquillamente sterminare ??? Ma chi è questo Lamia, un antenato di Berlusconi ??
Le posizioni attribuite a Pilato rispecchiano l’antisemitismo diffuso al tempo di France, il quale si schierò decisamente con Zolà a sostegno di Dreyfus. Per questo mi sarei aspettata dall’autore del libello un’articolazione più profonda delle argomentazioni antirazziste.

Quanto all’apologia dello scetticismo osannata da Sciascia, Pilato esprimerebbe l’umana impossibilità di conoscere la verità tramite i propri limitati sensi, in quanto mostra di ignorare l’enorme portata storica dell’unico atto per cui verrà ricordato nei secoli: la crocifissione di Cristo.
Ma, tanto per essere scettici fino in fondo, siamo sicuri che per l’emergere e l’affermarsi del cristianesimo come fenomeno storico complesso sia stato poi così fondamentale l’esistenza o meno di un Cristo e la sua eventuale crocifissione ?

Il libro: Anatole France, Il procuratore della Giudea, Sellerio, 2008, 55 p.

Il cimitero di Praga

… in pratica Hitler non si è inventato niente, ha attinto a piene mani dall’opera dei suoi bastardi predecessori !!!

Avevo solo un’idea vaga sull’antisemitismo ottocentesco, conoscevo a grandi linee l’affare Dreyfus, ma non credevo che la teorizzazione della soluzione finale fosse stata formulata 50 anni prima del nazismo. Ho l’impressione che non si tratti solo di una mia ignoranza, ma anche di un’omissione voluta , al fine di addebitare il tutto alla sola follia nazista e sgravare le “rispettabili” gerarchie ottocentesche dalla responsabilità storica nella costruzione delle premesse all’olocausto.

Credo che il pregio maggiore di questo libro sia la ricostruzione del clima e del pensiero antisemita, con riferimenti precisi a personaggi, riviste, opuscoli e gruppi realmente esistiti.
Forse è anche il suo punto debole come romanzo: le eccessive citazioni ne appesantiscono la lettura, e anche l’idea di far gravitare tutti gli intrighi / falsificazioni / spionaggi /esoterismi dell’epoca su un unico protagonista rende la trama inutilmente complicata.
Con questo non dico che tutto il tomo sia spiacevole: il vecchio mostro, in fin dei conti, è ancora capace di scrivere e descrivere, di presentarti personaggi così dettagliati che ti pare di averli attorno, o di trascinarti in sordidi vicoli e fognature, facendoti odorare i vestiti per l’impressione di esserci stato veramente.

Intriganti anche le riflessioni sull’operato dei Servizi e lo sviluppo del tema della ’teoria e pratica del complotto’, già trattato nel Pendolo di Foucault (“se vuoi sventare un complotto organizzalo, così tutti i congiurati cadranno sotto il tuo controllo”).

Infine, la parte Risorgimentale del romanzo è di gran lunga preferibile ai Traditori di De Cataldo, uscito in contemporanea,  e che – curiosamente – parla anch’esso di un traditore all’epoca dell’Unità.
Su questo tema il libro di Eco pone interrogativi: Garibaldi non aveva già dall’inizio della spedizione nessuna tentazione repubblicana, visto che dichiarò da subito di agire in nome di Vittorio Emanuele ? E qual’è stato il coinvolgimento del Generale nell’eccidio di Bronte ? Era già scritto, alla partenza da Quarto, che non si sarebbe trattato né di rivoluzione politica, né di rivoluzione sociale ?

Il libro: Umberto Eco, Il cimitero di Praga, Mondolibri, 2010, 240 p.

Legami di sangue

Questo libro è bellissimo. Se non lo leggete peggio per voi!

Dana, una giovane scrittrice afroamericana, viene risucchiata nel passato. Risale di due secoli il suo albero genealogico, catapultata a più riprese in piena società schiavista. E’ priva degli strumenti che hanno permesso ai suoi antenati di sopravvivere, deve affrontare l’incubo con le conoscenze del 20° secolo.
Vivrà la contraddizione di vegliare sui suoi progenitori, schiavi e schiavisti, vittime e stupratori.

Il libro: Octavia Butler, Legami di sangue, Le lettere, 2005, 343 p.