Aut Aut n. 349 – Il postcoloniale in Italia

Proprio bello questo numero di aut aut, soprattutto i saggi di B.Wagner “La questione sarda. La sfida del’alterità”, M. Virginella “Antislavismo, razzismo di frontiera”, e G. Gabrielli “Razze e colonie nella scuola italiana”.

In “La questione sarda…”, la Wagner ripercorre la storia della Sardegna sotto il dominio aragonese e sabaudo, analizzandone lo status semicoloniale sul piano politico , economico e culturale.
Si sofferma sull’imposizione di un nuovo tipo di feudalesimo, sul drenaggio delle risorse e depauperamento dell’isola, sull’emarginazione dei sardi dal potere e dalla gestione pubblica, sulla subalternità agli interessi militari spagnoli, sul declassamento della lingua sarda a parlata popolare, esclusa dai campi della giurisprudenza, dell’amministrazione e della chiesa.
Nel Settecento “nuovi vicerè rappresentano il centro che ora si chiama Torino, l’italiano man mano sostituisce lo spagnolo come lingua elitaria. Il diritto feudale, che la Rivoluzione francese ha spazzaro via in vaste parti d’Europa, rimane valido fino al 1838”. L’editto delle chiudende e della fusione perfetta inaugurano la fase dell’espropriazione delle terre e sanciscono l’egemonia degli interessi capitalistici del centro.
L’autrice dedica un paragrafo allo sviluppo del discorso razzista a partire dalle posizioni di quella testa di cazzo del criminologo lombrosiano Alfredo Niceforo. Tali posizioni costituirono il substrato idologico e pseudoscientifico a sostegno delle campagne militari contro il banditismo, delle punizioni collettive e della sospensione delle pur labili garanzie giuridiche dell’ordinamento sabaudo nei confronti dei sardi, definiti come razza inferiore dall’antropologia positivista.
Il saggio si conclude con una panoramica sulla letteratura sarda contemporanea, e sull’elaborazione letteraria dei temi del colonialismo e dell’identità.
Interessante lo sviluppo del concetto di “identificazione”, come atto di scelta e di responsabilità soggettiva, al posto di quello di “identità”, come forma cristallizzata e immutabile.

Il saggio di Marta Virginella, “Antislavismo, razzismo di frontiera”, ci offre una panoramica nauseante sull’evolversi del razzismo antislavo da parte della società giuliana e dalmata di lingua italiana. L’analisi parte dalla reazione dell’elite iitalofona al riconoscimento del diritto all’uso pubblico della lingua slava (oltre al tedesco e all’italiano) da parte dell’impero asburgico
Lo slavo, “buon selvaggio “ tardo settecentesco, assume gradualmente il ruolo di barbaro invasore e usurpatore, parallelamente allo sviluppo delle “identità nazionalmente omogenee” del periodo risorgimentale.
Apriti cielo, poi, quando a fine ‘800, le popolazioni slovene e croate cominciano a spostarsi dalle campagne e a contendere agli italofoni le città, non accontentandosi di ruoli subalterni da servi e stallieri, ma costituendo una classe media economicamente e culturalmente attiva.
L’irredentismo degenera dalle forme più mediate di Scipio Slataper e quelle esplicitamente razziste di Timeus, che inneggia allegramente alla pulizia etnica. “Furono i suoi scritti politici, come afferma Enzo Collotti, a porre le basi ideologiche per la politica imperialista dell’Italia nell’area balcanica” .
In seguito “il fascismo di confine utilizzerà, sin dalla sua fase squadristica, l’antislavismo come fattore di adesione e di mobilitazione. Le incursioni nei circoli slavi e gli attentati incendiari contro le case di cultura slovena e croate precedettero i programmi e le norme”.
Col fascismo di governo viene il tempo della “assimilazione”,ossia:
-italianizzazione di nomi e cognomi
-italianizzazione della toponomastica
-proibizione dell’uso di sloveno e croato in chiesa, in pubblico e negli uffici
-licenziamento dei maestri, impiegati, ferrovieri sloveni e croati o trasferimento coatto
-divieto di pubblicazione in croato e sloveno
-chiusura dei circoli culturali e sportivi, delle casse di credito e istituti bancari
Ogni espressione pubblica della nazionalità minoritaria diviene un atto criminoso, affrontato a suon di tribunali speciali, processi di massa e condanne a morte.
La seconda guerra mondiale porta con sé i rastrellamenti e la devastazione di paesi interi, le fucilazioni di civili e prigionieri, la morte per stenti, freddo e fame nei campi di concentramento italiani.
Pregevoli le opinioni in merito del Generale Robotti: “Si ammazza troppo poco”.
A livello dell’immaginario, lo slavo barbaro si evolve nello slavo comunista e infoibatore, previa moltiplicazione x 15 del numero degli infoibati (dai 2.000 reali ai 30.000 immaginari).

“Razze e colonie nella scuola italiana” di G. Gabrielli è un testo che spiega molto del razzismo attuale. Davanti a questa carrellata di concetti razzisti e omissioni colpevoli tratti dai libri di testo dell’Italia Repubblicana, risulta chiaro quale sia stato l’humus formativo di intere generazioni di italiani e la causa del loro ritardo mentale/culturale/sociale.

La rivista: AAVV, Aut Aut n. 349. Il postcoloniale in Italia, Il saggiatore, marzo 2011.

Questo numero presenta gli articoli di:
Birgit Wagner La questione sarda. La sfida dell’alterità
Marta Verginella Antislavismo, razzismo di frontiera?
Chiara Brambilla Geografie italo-libiche
Gianluca Gabrielli Razze e colonie nella scuola
Carmelo Marabello Dell’attitudine etnografica di alcuni film e cineasti italilani
Annamaria Rivera Razzismo postcoloniale? I casi italiano e francese
Giovanni Leghissa Il luogo disciplinare della postcolonia
Hans-Dieter Bahr Gioia dei sensi e gusto. Sull’estetica dell’infinito