Passavamo sulla terra leggeri

 

Atzeni passa sulla storia leggero, racconta i miti fondativi dell’identità sarda facendola amare anche a chi sardo non è.
Come si fa, del resto, a non amare con allegria quei sacerdoti S’ard, che seppero essere grandissimi filosofi e al tempo stesso incommensurabili paraculi ?
E a non stupirsi del ruolo delle donne, guerriere, giudichesse o “custodi del tempo” in epoche in cui nel resto del mondo contavano meno di niente.
E a non invidiare, in questi tempi tristi, l’idea di una identità includente, aperta a chiunque si presentasse senz’armi, perché …
Comprendevamo d’essere al centro di un mare che si faceva di giorno in giorno più popolato.
Non potevamo fermare il ciclo dell’uomo, nessuno può fermarlo.
Dovevamo incontrare gli altri uomini, per crescere.
L’incontro ha un costo, pagarlo è inevitabile. ”

Certo, il mito è – per sua natura – una narrazione idealizzata, e immagino che il periodo giudicale non fosse proprio tutto sto paradiso perduto (perché … “eravamo felici, a parte la follia di ucciderci l’un l’altro per motivi irrilevanti”). Ma di certo era preferibile all’inferno di una colonizzazione straniera. Ed è qui che cominciano a vacillare altri miti, a cui ci hanno cresciuto dalla più tenera età: il mito di Roma , il mito della chiesa come baluardo di civiltà durante l’oscurità del medio evo, il mito dei Savoia come artefici di unità, e non di un dominio coloniale.

Riguardo ai romani:
Dobbiamo la sopravvivenza in libertà a tutti i barbari che trovi nei libri di storia: goti, burgundi, celti, germani, unni, vandali e tutti i popoli che attaccarono l’impero prima mettendolo in ginocchio poi atterrandolo e infine distruggendolo, dando fine alla nostra guerra millenaria.”

Gli episcopi inviati dalla chiesa di Roma , ridicoli nelle loro sanguinarie dispute teologiche, cercarono invano di dominare l’isola in nome di una donazione di Costantino che fu “scritta a Roma da un monaco attorno all’anno mille, quando di Costantino non esisteva più neppure la polvere delle ossa”. Sarà la chiesa di Roma a condannare l’isola al dominio aragonese, a cui la vendette in virtù della falsa donazione.

Quanto ai piemontesi:
Gli uomini dei Savoia profanavano i monti della resistenza. Armati in nome del re occupavano i pascoli e i frutteti. Incendiavano i boschi, avanzavano coi cani e i fucili. Tutto quel che recintavano con muri di pietra era dichiarato loro proprietà da una legge savoiarda. Distruggevano il sistema di gestione collettiva della terra, ereditato dalla notte del tempo. Toglievano al popolo i mezzi elementari di sussistenza: il pascolo, il coltivo. I sardi dei villaggi di montagna, che sparavano contro i costruttori di muri a secco, venivano chiamati banditi, ricercati, uccisi, perché difendevano quel ch’era loro per diritto fin dalla notte del tempo“.

Ma … ora che sappiamo la Storia , siamo diventati anche noi “custodi del tempo”?
Se è così, sta a noi raccontare i nostri giorni. Quelli delle servitù e nocività militari, quelli degli operai della Vinyls all’Asinara, dei morti sul lavoro alla Saras e dei pastori caricati dalla celere a Civitavecchia, ‘chè l’oppressione di quest’isola non è finita, ma neanche la sua lotta.

Il libro: Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri, Ilisso, 2000, 208 p. Si scarica gratis da Sardegna digital Library.