Nahui

Stavo quasi per cestinarlo, confinandolo – assieme a “Viva la vida”- nella categoria “Libri pallosi su donne eccezionali”. Intanto non ho ben capito se è un libro su Nahui o sui suoi uomini . Vabbè che la ragazza aveva attorno maschietti puttosto ingombranti, ma da questa biografia ne esce una vita eccessivamente determinata dai rapporti con padre/marito/amanti. Non ne emerge più di tanto la statura artistica come poetessa, pittrice e compositrice, o l’impatto dell’immagine del suo corpo nudo contro le convenzioni sociali degli anni ’20.  Avrei evitato volentieri di conoscere tutti i dettagli delle prodezze erotiche del Dott. Atl e il fumettone da collezione Harmony col bel capitano. Mi sarebbe piaciuto, invece, respirare di più l’atmosfera di quel periodo e soprattutto la sua dimensione politica: dopo l’assassinio di  Zapata e Villa, con al governo chi – a suo tempo – li aveva combattuti, si viveva un clima contraddittorio che metteva insieme l’anticlericalismo viscerale e il riavvicinamento agli USA, il riconoscimento dei sindacati e una riforma agraria troppo timida per soddisfare la moltitudine dei senza terra. E c’erano quegli artisti che non passavano il tempo solo a scopare, ma fondavano partiti e sindacati, scrivevano su riviste militanti, marciavano nei cortei, denunciavano la rivoluzione incompiuta. E c’era ancora un sacco di gente che lottava perché quella rivoluzione voleva compierla.  Salvo questo libro per un paio di dettagli, per l’incontro muto fra Nahui e Tina, due vite diversissime di fronte allo stesso fallimento, e per quel senso di sgomento, di vuoto, di infinita tristezza che ho provato davanti ad un lenzuolo dipinto.

Il libro, Pino Cacucci, Nahui, Feltrinelli, 2005, 234 p.