Cristo si è fermato ad Eboli

“Dopo il brigantaggio queste terre hanno trovato una loro funebre pace; ma ogni tanto in qualche paese i contadini, che non possono trovare nessuna espressione nello Stato e nessuna difesa nelle leggi , si levano per la morte, bruciano il municipio o la caserma dei carabinieri, uccidono i signori , e poi partono rassegnati per le prigioni”.

A 12 anni imparai da questo libro che c’era stato il fascismo. Per questo mi ricordavo che era un libro importante, ma non che fosse così bello. Allora non potevo capirlo, non c’ero mai andata a sud.
Ho ritrovato in seguito le parole di Carlo Levi nelle rivolte contadine, quando crollò nell’86 il prezzo del tabacco, mandando in miseria centinaia di famiglie del leccese.
Le ho ritrovate nelle consuetudini che stentano a morire. “I contadini e le donne andavano attorno portando i regali alle case dei signori, qui è uso antico che i poveri rendano omaggio ai ricchi e rechino i doni, che vengono accolti come cosa dovuta, con sufficienza, e non ricambiati”, e io l’ho visto fare in un Natale recente.
Le ho ritrovate ad est, quando è stata una signora moldava a dirmi “tutti i giovani di qualche valore e quelli appena capaci di fare la propria strada lasciano il paese. In paese ci restano invece gli scarti, coloro che non sanno fare nulla, i difettosi nel corpo, gli inetti”.
Devo dire che mi ha causato una strana, indefinibile emozione ritrovare frammenti della mia realtà descritti da un libro del ’43.

Il libro: Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli, Mursia, 1968, 288 p.