Ancora un giorno

Carlotta sorride in copertina nel suo ultimo giorno di vita.
La guardo spesso e a lungo, così allegra, coraggiosa e bella, prima di essere uccisa nell’atto di proteggere il suo paese, la sua gente, gli stranieri che le erano stati affidati.
Da quel giorno, reso eterno da una foto, non ha più cantato, amato, combattuto.
Si è anche risparmiata parecchie cose: l’invasione sudafricana dell’Angola, il massacro di Cabinda e gli altri orrori perpetrati da Savimbi e da Holden Roberto, il volo degli avvoltoi della De Beers sui diamanti angolani.
Si è risparmiata più di 20 anni di guerriglia dell’UNITA, terminata soltanto quando il presidente Dos Santos decise di rivolgersi direttamente ai padroni dei suoi nemici (cedette agli USA, in cambio della pace, l’appoggio alle aggressioni dell’Iraq e dell’Afganistan).

Sotto gli occhi di Kapuscinski Luanda è una città che migra: alla vigilia della guerra civile i Portoghesi abbandonano il paese come i topi una nave che affonda.
Imbarcano sui cargo diretti in Europa o in Brasile interi pezzi della capitale, che si allontana oltremare lasciando dietro di se involucri vuoti.
Calvino l’avrebbe aggiunta a pieno titolo nel repertorio delle sue città invisibili.
Segue la quotidianità dell’assedio, prima annunciato – la paura crescente di qualcosa che ancora non si concretizza – e poi sempre più reale, l’abbandono, la sporcizia, la scomparsa del cibo e dell’acqua e di ogni tipo di attività utile all’uomo.
Fino a che anche il reporter polacco decide di cambiare aria, lasciandoci dentro uno scenario sospeso di devastazione e incertezza.

Il libro: Ryszard Kapuscinski, Ancora un giorno, Feltrinelli, 2008, 144 p.